La voglia di tornare a scrivere è un po' come la rabbia, un po' come l'amore, un po' come la tristezza.
Una punta di inchiostro in un bicchiere di acqua limpida, che si allarga implacabile coi suoi rami come tentacoli.
Durante le pause richieste all'Universo si impara sempre un po' di qualcosa.
Si impara che la paura può filar via così com'è arrivata; senza che nessuno l'abbia mai chiamata e senza che nessuno la cacci via.
Si impara che non tutti sanno convivere con la felicità, che son plasmati di un inespugnabile egoismo e che questa corazza non si scalfirà mai. Ché per loro e con loro, la serenità è un'eccezione, non la regola.
Si impara a tornare alle origini, tra le braccia che ci son sempre state, e si impara il coraggio di condividere con loro i propri fardelli, a stringere i denti, perché una cura c'è sempre, anche quando fa più male di quel che c'è da curare.
Si convive coi morsi dei rimpianti, stretti come quelli della fame.
Quelli dei "se" e dei "ma", del tempo perduto, di quello delle cose che volevamo ed ora non conosciamo più.
Un pianoforte che cade all'improvviso dal terzo piano.
Ché un conto è togliersi un sassolino dalla scarpa ma ben più complicato è toglierselo dal cuore.
Fanghiglia che si rasforma in sabbie mobili.
Però non c'è niente da fare; ci hanno programmati per sopravvivere.
Agli schianti, alla forza di gravità, alle ginocchia sbucciate ed al marasma nel cuore dello stomaco.
Un pezzo alla volta:
leggere seminuda;
le fusa del gatto;
il profumo di cocco;
la curva dei fianchi;
il fresco estivo;
il riflesso del biondo dell'infanzia;
il suono di certe parole in bocca.
Quasi sempre si impara, comunque, che alla fine non si è imparato proprio niente.
(Mi sei mancata).
(Sempre).
A chi non è come neve..