In fila attendo il mio turno, arriva poco dopo, mi siedo, scende la sbarra di sicurezza e si parte.
Urla, nocche delle dita bianche contro l'acciaio nell'intento di tenersi più ancorata possibile all'unico appoggio che ho.
Solo un problema: ho sbagliato giostra.
Per anni fan accanita delle montagne russe (metaforiche, che materialmente..sono la paura fatta a persona), le guidavo io e non sentivo mai l'esigenza di scendere, anzi. Chiedevo giri su giri.
Ma stavolta mi hanno fregata: mi ci hanno spinta senza che io chiedessi alcun biglietto e mi sono ritrovata su un sali-scendi che non avevo programmato ed arrivato nel momento sbagliato.
Però ormai ci sei su, pur urlando di voler scendere chi ti può ascoltare?Tanto vale mantenere sangue freddo e mente lucida. In fondo non è poi un dramma: un percorso pieno di cadute nel vuoto dopo scalate infinitamente alte, ma duraturo poco più di dieci minuti.
Infatti prima che il tuo cuore balzi via dal petto, sei già a terra con la testa tutta men che salda al resto del corpo, con la bocca impastata da urla e vento e gli occhi spalancati ma con la vista imperfetta.
Rimani un po' così, e pensi che infondo ti aspettavi di peggio. A ben pensare, da lassù hai avuto modo di guardare il mondo da una prospettiva diversa, sicuramente più ampia. Hai potuto scrutare meglio il panorama a te famigliare, lanciando il tuo sguardo sulle cose che ben conosci ma che spesso, pur conoscendo il loro valore, hai finito per valorizzare poco rispetto a quanto credevi.
Ci rifletti e ci spendi un bel po' di pensieri.
Poi, ancora intontita, ti lasci fulminare da un lampo e ti volti spiazzata: per tutto il tempo hai trascinato qualcun altro nel tuo folle giro.
Ti rendi conto che, anche se lui era seduto al posto dietro al tuo, le urla erano uguali, il percorso pazzo identico, la sua paura aveva la stessa forma della tua. Era solo un'angolazione obbligatoriamente diversa ma non per questo più comoda.
E tu, anche se dopo, te ne sei accorta ed ora lo guardi e lui guarda te.
Ha la stessa, identica espressione che gli viene quando inizi e finisci una discussione da sola; quella silenziosa che implicitamente ti dice 'ma perché?si può sapere che combini?'.
Ed allora, di fronte a tutto ciò, non puoi che fare una cosa: scoppiare a ridere. Perché sei un disastro; perché non è da tutti afferrare quasi istintivamente la mano di qualcun altro senza che lui capisca ancora bene ciò che sta per succedere e rendersene conto solo dopo che entrambi siete stati shakerati; perché, credetemi, la sua espressione incredula e perplessa non avrà mai prezzo.
Così ti aspetti un meritato 'va a quel paese', invece ancora una volta sorride semplicemente e ti chiede 'lo vuoi lo zucchero filato?', ti prende per mano e ti porta via.
Ti impastrocchi un po' le mani, sei un po' stanca, gli occhi bramano sonno e la coscienza brama studio, ma rimetti in ordine ogni cosa e ti dici pronta a ricominciare i tuoi compiti. Si riparte, è tutto ok di nuovo.
''Si, ma la prossima volta la giostra facciamo che la scelgo io''.
Una buona giornata, a chi non è come neve...
P.s. oggi è il mio 111° post, assolutamente il mio numero perfetto, ed anche se avrei voluto fare qualcosa di diverso, poco male, recupererò in altri modi, ma non potevo non sottolinearlo e chi mi conosce..lo sa.
sabato 28 giugno 2014
domenica 22 giugno 2014
Sui treni che vedi passare
Sono tornata a casa da poco meno di una settimana, preceduta da un clima caldissimo interrotto a tratti da serate di pioggia incessante ed aria fresca, quasi settembrina.
Il mare l'ho visto solo da lontano; non lo amo, ma rimpiango di non essermi ancora immersa nell'acqua gelata e persa nel suo colore limpidissimo.
Da un po' di tempo sento che il mio elemento è l'acqua. Non lo avrei mai detto.
I miei ritmi sono pressanti, li percepisco più intensi della sessione della scorsa estate: forse più esami, forse meno tempo, forse impegni più diversificati. Eppure non è che stia facendo chissà cosa. Le mie amiche non le vedo praticamente da mesi, eccetto una mattina insieme ad una di loro dopo praticamente quasi un anno che non ci uscivo; i corsi sono finiti..però sembra che i miei pomeriggi siano troppo corti per permettermi di studiare per bene.
Come se non bastasse, mi infastidisce vedere come la fortuna aiuti le persone egoiste, che pensano solo a loro stesse, e noi altre osserviamo loro venire premiate e noi sempre al secondo posto.
Nonostante tutto troviamo ancora un motivo per sorridere. ''Ragazze, ho trovato la canzone per noi!'' e mando loro il testo. Rido per la mia amica/collega che mi cita D'Alessio (che non si può sentire, ma nel contesto ci sta proprio bene la sua parafrasi). Se non altro siamo positive e divertenti.
E poi c'è la settimana precedente, in cui non sono mai stata sola, se non per quell'ora e mezza di esame sostenuto ed in cui ho avuto modo di notare come certe cose si siano fortemente radicate qui, nella mia mente e nel mio cuore.
Mi rendo conto di come e quanto certe scelte siano totalmente diverse da quelle che la me di prima avrebbe compiuto; di come certi aspetti, certi angoli si siano smussati ed altri ancora accentuati.
Quasi per magia, quasi senza rendermene conto. Così.
E mi piace. Avverto la leggerezza dei momenti insieme, anche quando la pressione di altri contesti mi grava sulle spalle, sullo stomaco e sulla mente.
E' come se riuscisse, tanto per continuare il paragone con l'acqua, appunto, a farmi respirare anche in apnea. Come se tra la pesantissima massa d'acqua quelle bolle d'aria riempissero sufficientemente i miei polmoni.
Non ci sono abituata, lo ammetto.
Per mio volere, il mio mondo è sempre stato una continua lotta. I contrasti la facevano da padroni. Così se era tutto bianco io dovevo buttarci il nero, perché la monotonia del monocolore mi uccideva e quasi mi scompensava.
Adesso non ho più bisogno di dipingere di nessun colore nulla, è tutto perfetto e lo vedo andare meglio giorno per giorno, senza esasperare nuvole di cotone o montagne di zucchero. Quello no, non sarà mai da me, lo so.
Mi andava di scrivere, pur non avendo nulla di particolarmente importante da dire. Solo che va incredibilmente tutto bene. E che navigo tra i libri insieme alle mie colleghe/amiche con cui scambio faccine disperate e lacrimanti, ma con cui infondo rido tanto.
Per ritornare a quanto poco su, chiederei alle fortunelle egoiste quando fa bene il loro sorriso falso, quando tra di loro competono per i voti e vanno avanti a 'complimenti, sei stata bravissima', mentre dentro, il loro mostriciattolo ha gli occhi iniettati di rabbia perché alla gara di turno non è andata come speravano.
Me ne compiaccio, anche se mi sento colpevole di cattiveria. Però cosa posso farci io, se gli occhi non mentono?
Giuro, son già tornata più buona: bastano quattro righe per rimettermi in pace col mondo. E poi i suoi occhi verdi.
''Noi abbiam capito tutto, è un po' come nel calcio''
E' la dura legge del gol, gli altri segneranno però
che spettacolo quando giochiamo noi,
non molliamo mai.
Loro stanno chiusi ma
cosa importa chi vincerà?
Perché in fondo lo squadrone siamo noi.
Lo squadrone siamo noi.
Una buona partita, a chi non è come neve...
martedì 3 giugno 2014
Che le tue paure siano cure
Ho un lato positivo. O meglio, non credo lo sia, ma io mi amo.
Avete presente quando si riceve una notizia non piacevole?Quelle precedute da 'non ti spaventare ma..', 'sei seduta?'. Ecco, io un paio di volte le ho sentite, e constatando che il mio cuore non impazziva, che non avevo bisogno di spaventarmi o di sedermi, mi sono chiesta ripetutamente se fossi insensibile.
Come se avessi bisogno di qualcosa di più forte a risvegliarmi.
Così, ieri sera alle 21.30, mentre due delle mie sorelle avevano già gli occhi arrossati e mamma non era troppo reattiva, per me andava tutto bene.
Inizialmente decidiamo di non andare all'ospedale, ma nell'arco di 10 minuti la situazione si fa leggermente più instabile e velocizzo la partenza preparando la macchina fuori dal garage.
Mi accorgo solo chiuso lo sportello che le chiavi sono in casa, quindi rientro ma a metà corridoio sento le mie sorelle urlare e piangere e mamma chiamare il nome di mio padre.
In un attimo penso al peggio e sento il cuore esplodere. Ho un minimo di lucidità, esco di casa intimando a mia sorella minore di smetterla di urlare e di chiamare uno dei miei cognati mentre io sento già l'operatore del 118 all'altro capo del mio cellulare.
Non so neanche io cosa gli riesco a farfugliare, senza fiato, ma lui capisce ed io mentalmente lo ringrazio. Mi da del lei, poi capisce e passa al tu; mi chiede i dati di mio padre, se e di quali patologie soffre. Mi chiede l'indirizzo di casa, io sto per rispondere stupidamente 'in provincia di', mi schiaffeggio mentalmente e gli dico precisamente dove sto.
Lui mi tranquillizza con il tipico accento dalla 'r' marcata, mi da delle direttive ed infine, chiedendomi il numero di telefono, mi dice di aspettare in strada l'ambulanza.
Rientro in casa, non so se papà ha ripreso conoscenza, sento solo che mia sorella piangendo mi dice che lo portiamo all'ospedale ed io le dico che arrivano loro. Afferro le chiavi della macchina: casa mia è un pochino fuori mano, seppur non lontana dall'ospedale, e non da neanche direttamente in strada.
Successivamente mi compiacerò di aver completato le manovre per uscire dal garage senza andarmene sui muretti o sulle altre macchine li di fianco.
Mi fermo in strada, arriva prima mio cognato che il 118, non so che succede a casa ma mi richiama l'operatore. Mi dice di controllare la glicemia se possibile e di stare tranquilla, che sarà solo un malore.
Arriva anche l'altro mio cognato con mio cugino, quest'ultimo si ferma con me e si fa quasi mettere sotto dall'ambulanza che gira sbandando leggermente.
La seguiamo, stavolta il volante non è in mano mia. Ne approfitto per chiamare Lui. Ecco, solo li scoppio a piangere per la prima volta. E' dolcissimo, mi dice anche che partirebbe pur arrivando il giorno dopo, così, solo per starmi vicino.
Ne sorrido e mi rincuora.
Entro in casa e la situazione è sotto controllo.
Respiro profondo, rimango da sola con mia sorella minore, il fidanzato e mio cugino. Tutti gli altri raggiungono l'ospedale con papà.
Chiamo le altre mie due sorelle e spiego loro tutto quanto.
Lo spavento è passato, e noi siamo una famiglia allegra: non potete immaginare quanto successo dietro le quinte, in tutto questo trambusto. Se ve lo raccontassi morireste dal ridere.
Ancora meglio, poco dopo sentiamo direttamente papà. Lo dimettono da li a poche ore.
Va tutto bene, mangia qualcosa, non ricorda nulla, glielo raccontiamo ridendo. Gli dico anche che mi deve la vita, prendendo in giro le altre due mie sorelle e mamma che son state tutto il tempo comprensibilmente immobilizzate del panico.
Si fa tardi, andiamo a dormire.
Qui mi frego.
Arriva la paura del 'e se..', ma è una cosa talmente insensata che la ricaccio via immediatamente. Poi mi si gela il sangue, perché arriva quella del 'e quando...'
Mi manca di nuovo il respiro, mi sento stupida e quasi di cristallo.
Mi da fastidio anche l'idea di vedere nero su bianco i pensieri che mi sono passati in mente veloci, perché non sopporterei una cosa del genere.
Posso essere pronta a chiamare l'ambulanza immediatamente; posso essere in grado di guidare lucidamente nonostante tutto.
Posso imparare qualcosa dalla sensazione che quella paura mi ha lasciato, qualcosa di costruttivo come sempre, che stavolta fa a pugni con la sensazione opposta: quella che mi dice che al 'e quando...' non sarò davvero mai pronta.
E mi sento di nuovo stupida. Ed ho di nuovo paura. Solo per un po'.
Una buona notte, a chi non è come neve...
Avete presente quando si riceve una notizia non piacevole?Quelle precedute da 'non ti spaventare ma..', 'sei seduta?'. Ecco, io un paio di volte le ho sentite, e constatando che il mio cuore non impazziva, che non avevo bisogno di spaventarmi o di sedermi, mi sono chiesta ripetutamente se fossi insensibile.
Come se avessi bisogno di qualcosa di più forte a risvegliarmi.
Così, ieri sera alle 21.30, mentre due delle mie sorelle avevano già gli occhi arrossati e mamma non era troppo reattiva, per me andava tutto bene.
Inizialmente decidiamo di non andare all'ospedale, ma nell'arco di 10 minuti la situazione si fa leggermente più instabile e velocizzo la partenza preparando la macchina fuori dal garage.
Mi accorgo solo chiuso lo sportello che le chiavi sono in casa, quindi rientro ma a metà corridoio sento le mie sorelle urlare e piangere e mamma chiamare il nome di mio padre.
In un attimo penso al peggio e sento il cuore esplodere. Ho un minimo di lucidità, esco di casa intimando a mia sorella minore di smetterla di urlare e di chiamare uno dei miei cognati mentre io sento già l'operatore del 118 all'altro capo del mio cellulare.
Non so neanche io cosa gli riesco a farfugliare, senza fiato, ma lui capisce ed io mentalmente lo ringrazio. Mi da del lei, poi capisce e passa al tu; mi chiede i dati di mio padre, se e di quali patologie soffre. Mi chiede l'indirizzo di casa, io sto per rispondere stupidamente 'in provincia di', mi schiaffeggio mentalmente e gli dico precisamente dove sto.
Lui mi tranquillizza con il tipico accento dalla 'r' marcata, mi da delle direttive ed infine, chiedendomi il numero di telefono, mi dice di aspettare in strada l'ambulanza.
Rientro in casa, non so se papà ha ripreso conoscenza, sento solo che mia sorella piangendo mi dice che lo portiamo all'ospedale ed io le dico che arrivano loro. Afferro le chiavi della macchina: casa mia è un pochino fuori mano, seppur non lontana dall'ospedale, e non da neanche direttamente in strada.
Successivamente mi compiacerò di aver completato le manovre per uscire dal garage senza andarmene sui muretti o sulle altre macchine li di fianco.
Mi fermo in strada, arriva prima mio cognato che il 118, non so che succede a casa ma mi richiama l'operatore. Mi dice di controllare la glicemia se possibile e di stare tranquilla, che sarà solo un malore.
Arriva anche l'altro mio cognato con mio cugino, quest'ultimo si ferma con me e si fa quasi mettere sotto dall'ambulanza che gira sbandando leggermente.
La seguiamo, stavolta il volante non è in mano mia. Ne approfitto per chiamare Lui. Ecco, solo li scoppio a piangere per la prima volta. E' dolcissimo, mi dice anche che partirebbe pur arrivando il giorno dopo, così, solo per starmi vicino.
Ne sorrido e mi rincuora.
Entro in casa e la situazione è sotto controllo.
Respiro profondo, rimango da sola con mia sorella minore, il fidanzato e mio cugino. Tutti gli altri raggiungono l'ospedale con papà.
Chiamo le altre mie due sorelle e spiego loro tutto quanto.
Lo spavento è passato, e noi siamo una famiglia allegra: non potete immaginare quanto successo dietro le quinte, in tutto questo trambusto. Se ve lo raccontassi morireste dal ridere.
Ancora meglio, poco dopo sentiamo direttamente papà. Lo dimettono da li a poche ore.
Va tutto bene, mangia qualcosa, non ricorda nulla, glielo raccontiamo ridendo. Gli dico anche che mi deve la vita, prendendo in giro le altre due mie sorelle e mamma che son state tutto il tempo comprensibilmente immobilizzate del panico.
Si fa tardi, andiamo a dormire.
Qui mi frego.
Arriva la paura del 'e se..', ma è una cosa talmente insensata che la ricaccio via immediatamente. Poi mi si gela il sangue, perché arriva quella del 'e quando...'
Mi manca di nuovo il respiro, mi sento stupida e quasi di cristallo.
Mi da fastidio anche l'idea di vedere nero su bianco i pensieri che mi sono passati in mente veloci, perché non sopporterei una cosa del genere.
Posso essere pronta a chiamare l'ambulanza immediatamente; posso essere in grado di guidare lucidamente nonostante tutto.
Posso imparare qualcosa dalla sensazione che quella paura mi ha lasciato, qualcosa di costruttivo come sempre, che stavolta fa a pugni con la sensazione opposta: quella che mi dice che al 'e quando...' non sarò davvero mai pronta.
E mi sento di nuovo stupida. Ed ho di nuovo paura. Solo per un po'.
Di notte, quando il cielo brilla
ma non c'è luce, né una stella
ricorderò la paura che..
che bagnava i miei occhi..
Tiziano Ferro.
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