Il problema è che da piccoli passavamo il tempo a fare i castelli di sabbia anche quando quelli ci si disintegravano davanti agli occhi.
È che sbagliavamo la proporzione acqua/sabbia.
Troppa acqua: una fanghiglia.
Troppa sabbia: una disfatta.
O forse in realtà era proprio andare a prendere l’acqua il problema.
Ché un quarto lo perdevi già al momento di riportare su il secchiello dall’onda.
L’altro quarto si perdeva durante il tragitto.
È che sbagliavamo la velocità di crociera.
Troppo lento: il caldo ti scioglieva anche il cuore.
Troppo veloce: arrivavi sano e salvo, si, ma con il secchiello vuoto come il nulla.
Non è che poi fosse tanto, tanto l’acqua in sé, quanto l’ade da camminare a piedi.
Ché quei pezzi di brace sottoforma di granellini ti si appiccicavano fino all’anima e l’unica speranza che avevi era chiedere ospitalità agli ombrelloni sulla via.
È che il dilemma era sempre lo stesso.
Piedi nudi: la fornace.
Infradito: un uragano di sabbia tutto attorno.
Ma poi, diciamocelo, quasi, quasi ce la si poteva pure fare ad arrivare alla meta con tutto quello che serviva ed ancora in vita.
Ed eri pure ancora pieno di speranze e progetti
Vedrete sarà il castello più bello stella storia.
Mamma mia ‘ste torri che ho in testa le tiro su in un secondo, altroché.
Ma Windsor chi?!
E non te ne fregava proprio niente della seduta scomoda, del costume che non collaborava, del secchiello sghembo, la palettina minuscola ed il rastrello che non hai mai capito a cosa servisse realmente.
Te ne stavi lì a labbra strette (le labbra strette sono un must, le sto facendo diventare bianche, bianche dalla pressione anche ora che scrivo e non c’è né sabbia, né acqua, né alcun castello da costruire) e super concentrato sul tuo cantiere come se ne valesse della tua stessa vita.
Gli occhi di tutto il lido addosso (ma quando mai, illuso) ed il tuo orgoglio da far valere come fossi lo sceriffo da far vincere in un duello qualunque dell’antico West.
È proprio quello il problema. Che stavamo tutti in fissa con ‘sti maledetti castelli di sabbia che non reggevano mai. Non per sempre.
Magari lo tiravi su uno decente e ti durava pure fino all’ora di tornare a casa. Ma quando lo lasciavi incustodito qualche stronzo arrivava sempre a demolirlo con una pedata sola.
E la cosa peggiore è che il 99% delle volte quello stronzo eri proprio tu.
Ma non te ne fregava niente, perché il giorno dopo, o l’onda dopo o anche solo il minuto dopo tu eri già pronto a ricostruire tutto dall’inizio.
Instancabile bambino dal cuore di leone, con la tua piccola paletta, il rastrello che non serviva a nulla ed il secchiello pieno di acqua e sabbia in proporzioni sbagliate.
Potevi scegliere di andare a raccogliere le conchiglie (per me, quel che le stelle sono per il cielo) ma no.
Labbra bianche, caldo atroce e torri su.
Ti ho voluto bene per questo fin dal primo istante.
Mi sono voluta.
A chi non è come neve…