Mi sento in colpa per il modo in cui mi sento. Per il fatto che mi sembra così difficile darmi tregua.
Ma ultimamente mi sento letteralmente sopraffatta da quello che mi sta attorno. Dal modo in cui stanno andando le cose che riguardano me o la mia famiglia.
Non so nemmeno spiegare quel che provo ed in realtà ho capito che è meglio non farlo ed adottare la mia vecchia tattica del tenermi tutto per me, perché la verità è che quasi tutti ti chiedono come stai ma se menti dicendo che è tutto ok togli loro l’impaccio di doversi interessare ed accollare i tuoi sentimenti.
Così ho trovato tre strade per lasciare andare il senso di angoscia che mi stordisce, senza dare fastidio a nessuno.
La prima è scrivere, possibilmente con la mia penna nera, perché i brillantini colorati mi sembrano una presa in giro verso il mio sentirmi così.
La seconda è riprendere il famoso puzzle che avevo lasciato incompleto nella stanza gelata di casa mia che ormai è adibita solo alla sua conservazione.
E lo ammetto, averlo lasciato a metà (molto meno della metà, ad essere onesti) non è dipeso solo dalla scomodità di doverlo comporre proprio lì (perché, non ci crederete mai, ma lasciarlo in balia di due gattuzzi scatenati in giro per casa non è proprio una bella idea); mi metteva piuttosto di cattivo umore sapere che, probabilmente, un pezzo sarà andato perso e così l’idea di dover portare a termine qualcosa che, comunque, sarebbe rimato incompleto, mi ha demoralizzata. Ché il cervello umano non è proprio fatto per le questioni inconcluse -per esempio, ho letto che se una canzone ci assilla basta cantarne la fine perché ci esca dalla testa, finalmente- ed il mio lo è ancora meno.
E poi, invece, la magia.
Ho guardato il punto con il pezzo mancante e mi son detta che non fa assolutamente nulla. Che posso rimediare e che troverò una soluzione non appena tutti i quadri saranno al completo.
Anzi, ancora meglio, una volta che avrò incorniciato l’opera d’arte, ci attaccherò su uno dei miei post-it con una grande freccia ad indicare il punto vuoto, per ricordarmi che, in fondo, la vita è anche questa.
Un continuo di fasi imperfette che, in ogni caso, non ci impedirà di arrivare al traguardo.
La terza strada non è una strada e non l’ho intrapresa io ma il mio inconscio.
Il quale ha deciso bene di lanciarmi segnali chiari ed evidenti popolando le mie notti di incubi.
Il suo preferito, evidentemente, è quello in cui il protagonista è un qualche tipo di fantasma/demone/presenza non meglio identificata che ha uno scopo solo: puntarmi e farmi terrorizzare.
Spoiler: ci riesce più che bene perché mi sveglio con il cuore a mille e la pelle che brucia per la paura.
Comunque, devo ammettere che ormai mi ci sono affezionata ed in ogni caso preferisco la versione demoniaca di Casper a molti altri sogni spiacevoli e ridondanti fatti in passato.
Così, insomma, consumo le suole delle mie scarpette macinando chilometri su ognuno di questi tre percorsi; non senza inciampi perché la tentazione di confidarmi ed aprirmi completamente ha avuto qualche volta la meglio ma ad un certo punto l’istinto di conservazione, per fortuna, prevale e ti dà un bel colpo in testa: smetti di farlo se ti fa solo più male che bene.
Però spero il mio percorso verso la meta diventi sempre più breve, perché di rimanere in apnea non ce la faccio più.
Ed ancora di più spero che la prima boccata di ossigeno arrivi alle persone che amo di più al mondo: i miei genitori, ed in particolare mio padre, e le mie sorelline, ed in particolare quella che mi cambiava i pannolini da piccola invece di uscire a divertirsi con le amiche.
Che mi sono innamorata della frase del post precedente.
Radici abbastanza forti da trattenermi. Da trattenerci.
A chi non è come neve...