Se dovessi descrivere che cosa significa per me spingersi fisicamente oltre, direi "nuotare al largo".
Ripetuto già diverse volte, non ho mai avuto paura dell'acqua anche quando forse avrei dovuto; anche agli estremi dell'incoscienza, saltuariamente.
Il mio mare è profondo, profondissimo.
Ti bastano pochi passi e sei già -letteralmente- acqua alla gola.
Ho sempre ritenuto che questa fosse una condizione normale, abituale. Non mi sono mai posta il problema che potesse esserci qualcosa di diverso e così, quando invece per la prima volta mi sono trovata di fronte a metri e metri di costa leggermente accarezzata da pochi centimetri di acqua, mi son meravigliata ed ho pensato automaticamente che no, quello non era la mia corretta definizione di mare.
Nemmeno te ne accorgi.
Chiudi gli occhi, trattieni il respiro, vai giù, qualche bracciata e pensi di aver fatto si e no l'equivalente di un paio di passi ma quando invece riemergi sei già lontano.
Non lo so a che cosa penso mentre i piedi sguazzano accompagnando le falciate delle braccia; forse non penso a nulla -anche se pare sia umanamente possibile- oppure penso così velocemente da far sfumare poi tutto in una nuvola di vapore inconsistente. Ma la sensazione che provo appena riemergo e vedo la costa così distante la conosco a memoria.
Il fiato corto, il cuore a mille, quasi un attimo di panico a pensare "E se non riesco a tornare? E se c'è qualcosa sotto?". Eppure quell'istinto ad allontanarsi ancora un po' è un richiamo fortissimo, un canto di sirena.
Va sempre così; quando il mare lo guardo in inverno, desolato, spesso furioso, mi chiedo come faccia a non averne paura ma quando arriva il momento giusto riunirmici è la cosa più naturale dell'Universo. Come fare l'amore con il cuore devastato dalle ferite, ricucito ma ancora pieno di liquido rosso che trabocca ovunque.
Poterci accompagnare anche l'impatto visivo è poi tutta un'altra storia.
Un film silenzioso, immobile, di un solo colore ma con mille sfumature diverse.
Un crescendo di buio che tocca il fondale sabbioso per poi risalire alla luce filtrata del sole.
Anche quello a volte fa paura, perché si ha sempre quella tendenza umana ad aspettarsi, da un momento all'altro, una sagoma che alla fine non arriva mai.
Una quiete stupenda che ti riporta in pace con tutto il mondo, dentro e fuori; fatta di un freddo che qualche volta ti smorza il fiato e la pelle, di "altri 5 minuti e torno".
E magari ne passano 10 prima che tu decida di ripercorrere al contrario la tua strada, un po' più leggera ma anche e soprattutto un po' più ricca.
È in quel momento che, poi, riesci ad apprezzare anche lo stare a ridosso della costa, facendoti cullare dall'acqua bassa con una parte del corpo a contatto, stavolta, con il fondale.
Il mio mare è profondo, profondissimo.
Anche quello che ho dentro, per questo amo nuotare al largo.
Buon fine Agosto, a chi non è come neve...