domenica 13 dicembre 2020

Di deserto sono esperto

Perché, nonostante tutto, non me la sento di dire che questo 2020 sia stato orribile.

Forse dovrei; in qualche modo dovrei sentirlo, ma non ci riesco.
Non lo è stato.

Ho passato tutte le festività lontana dalle mie sorelle, dai bambini. E probabilmente questo sarà il Natale più in solitaria di sempre.
Abbiamo tutti passato mesi e mesi chiusi dentro casa, senza poter uscire, incredibilmente, se non per fare la spesa.
Siamo condannati, e probabilmente lo saremo per qualche mese ancora, a girare con disinfettante, mascherina e guanti.
Ho stravolto la mia vita lavorativa e sentimentale nel giro di pochi mesi.

Eppure no, si chiude un anno strano, imprevedibile, solitario, rabbioso, estenuante, pericoloso.
Ma anche ricco di crescita personale, di nuove persone, amici, sorrisi.
Ho realizzato di essere cambiata tantissimo negli ultimi mesi.
Mi sento più confidente in delle cose per le quali, in realtà, sono già molto in ritardo.
Ma seguo i miei tempi e questo mi va bene.
Ho letto un sacco di libri stupendi, ne ho messi tanti altri in lista.
Ho speso i fine settimana a tifare Max Verstappen divertendomi una gara dietro l'altra.
Ho passato le notti estive sotto le stelle, a respirare profondamente la mia vita.
Ho riso tantissimo con una persona in particolare, che però...
Ho scritto una pagina dietro l'altra la mia esistenza dentro un'agendina.
Ho tenuto delle lezioni online parlando per ore a degli sconosciuti. Io che da bambina arrossivo anche ad un ciao.

Ed ora dovrei cominciare con i buoni propositi. Dovrei disegnare la mappa dei miei progetti, scalare ambizioni, spuntare "to do list".
La verità è che ho un solo, piccolo, grande obiettivo per il nuovo anno. Che potrebbe cambiare davvero tanto altro.
Vorrei finalmente cancellare dalla lista una piccola fobia che mi porto dietro ormai da anni.
Ho fatto finta di niente per tutto questo tempo perché potevo starne alla larga, ma ora...
Ora è arrivato il momento di diventare grande ancora un po'.

Solo questo chiedo per il 2021.
Solo questo mi chiedo per il nuovo anno.

Una buona serata, a chi non è come neve...

sabato 21 novembre 2020

With clouds between their knees

Scrivo sempre un sacco di roba introspettiva su di me, sulla mia esistenza.
Ma mi sto chiedendo.
Ma voi lo sapete che cosa faccio nella vita?
Che non è una domanda auto-celebrativa che vuole accendere una insegna su di me con la scritta in grande "su, dai, chiedetemi che lavoro faccio", quanto invece un quesito rivolto a me stessa: "ma davvero ho scritto così tante cose intime di me e non ho mai scritto della cosa che, da un anno a questa parte, sta occupando una quota rilevante del mio tempo?".

Pare di si, se la memoria non mi inganna non ho mai scritto un post sul mio lavoro.

Ebbene, dopo questa grande premessa vorrei esordire dicendovi "dai si, lo ammetto, sono un'astronauta/pilota di formula uno/piloto jet privati/sto su una nave da crociera e giro il mondo", ma mentirei. Non faccio niente di così figo.
Mi correggo.
Trovo il mio lavoro fighissimo ma dubito che gli altri possano pensare lo stesso.

Insomma, che cosa faccio?
Aspirante commercialista.
Aspirante revisore legale.

A 15 anni scrivevo sul mio diario che avrei voluto fare esattamente questo (la commercialista, ché il revisore legale non sapevo nemmeno cosa fosse ovviamente). A 24, fresca di laurea magistrale, mi ero detta "io questo lavoro non lo farò mai, ce ne sono troppi, e quelli già esperti ti sfruttano e ti mettono solo a fare fotocopie". A 26, appena entrata in studio, mi sono detta "ma perché non ci ho provato prima?".

Ci vuole fortuna, davvero.
In tutto, ma soprattutto nel lavoro.
Ci vuole qualcuno che ti appoggi, che abbia interesse ad insegnarti, che ti veda come una risorsa e non come un peso che assorbe solo uno stipendio.
Ci vuole fortuna ed io, onestamente, ne ho avuta tanta.
Una persona esattamente come quella che ho appena descritto.
E di più.
Ambiziosa.
Che quest'anno ha deciso di crescere e che, insieme ad un altre persone come lui, ha fondato una società di consulenza a 360°.
Che ha deciso di puntare anche su di me; di insegnarmi il più possibile, di rendermi, di giorno in giorno, più autonoma, più competente, seguendo quella intelligentissima linea del "più cresci tu, più possiamo crescere insieme".

Mi sto impegnando tantissimo, soprattutto in questo ultimissimo periodo.
Qualche volta abbiamo fatto tardi la sera in ufficio e questo è stato il principale motivo per cui ho allentato di nuovo la presa qui sul blog. E per questo poi, oggi, ho deciso di scrivere esattamente questo post.
Per dirvi che ci sono, meno del solito, ma ci sono; commento di meno ma vi leggo sempre. Mi aggiorno sulle vostre vite come posso, anche se faccio cenno alla mia, qui, con meno frequenza.

Investo le mie energie su una cosa importante, che spero possa rendermi ancora più soddisfatta di quanto io non sia già ora, ma non mi scordo che questo è sempre il mio porto sicuro. La mia copertina di Linus, il mio Bobby virtuale.

E comunque, solo per dirvi che, oltre ad imparare roba fiscale, contabile, finanziaria, nelle ultime settimane sto ricoprendo il ruolo di insegnante.
Ma questa è proprio un'altra storia...☺
Non c'è nulla da fare, le mie sono sempre tutte altre storie.

Un buon we, a chi non è come neve...

domenica 8 novembre 2020

Come onde di notte sulla spiaggia

Novembre è sempre il mese più bello per me che sono una fan.
Qualche giorno fa ho visto un documentario bellissimo, sulla vita del mio amore platonico.
Ferro.
Non sarà una recensione, l'ho già detto in un altro contesto, non ne ho mai fatte, non credo di voler iniziare ora, nonostante vi inviti a guardarlo a prescindere dal fatto che vi piaccia o meno lui come artista.
Merita.
Uno di quei messaggi da lanciare ai futuri adulti di domani.

L'ho visto due volte. La prima, subito e da sola, perché non volevo aspettare, la seconda ieri, con le mie sorelle (tutte collegate a distanza nello stesso momento perché, di nuovo, ci ritroviamo in lock-down). Mi ha fatto contenta che abbiano voluto guardarlo con me, per me, nonostante non lo seguano assiduamente come la sottoscritta, e mi ha fatto ancora più piacere il loro apprezzamento incondizionato. La percezione di aver ricevuto quello che il protagonista voleva comunicare come persona e non come star.

Ne è nata una discussione bella tra di noi, intima seppur dai toni leggeri.
Quante maschere abbiamo?
Quante ne portiamo ogni giorno con chiunque, anche con le persone che più amiamo al mondo?
Non intendo quelle maschere di ipocrisia, quelle che ci fanno apparire persone migliori di quanto non siamo davvero.
Intendo quelle che ci disegniamo sul viso sempre in modo diverso, un po' a nostro gusto, un po' secondo le pretese degli altri.
Quelle che non vogliono attirare le attenzioni ma, piuttosto, nasconderci.

Quante ferite intime abbiamo tutti?
Quanti cerchi non chiusi sotterrati nel profondo di chi ci sembra così sicuro di sé?
Quante questioni irrisolte incatenate alla gola di chi, in superficie, ci appare pienamente al comando della propria esistenza?
Quante schegge, quante incrinature, nell'anima silenziosa di chi, all'esterno, sembra sempre così rumoroso, sempre con la risposta pronta?
Quanti silenzi malcelati, quante cose non dette? 
Quanti soldatini addestrati per anni a modulare il tono dei sentimenti, a centellinare gocce salate, a tener il conto di segreti inconfessabili dentro registri invisibili da bruciare prima che l'inchiostro abbia avuto il tempo di asciugarsi?

E se qualcuno, oggi, avesse la possibilità di leggervi tutti? Di aprire il vostro diario più intimo, magari quello che non avete ancora avuto il coraggio nemmeno di scrivere, che persona ne verrebbe fuori? 
Davvero, chi sareste?
La stessa persona che ogni giorno varca la porta di casa e si dà in pasto al mondo?
Sareste felici quanto apparite, completi quanto sperate, risolti quanto richiesto?
Più cupi, più profondi, più introspettivi, meno silenziosi, meno timorosi?
E se poi foste voi stessi a rileggere quello stesso diario, con che occhi vi guardereste dentro?

Felice ma incompleta.
Soddisfatta ma da risolvere.
In cammino ma non ancora prossima alla meta.
Leggera ma in conflitto.
In conflitto ma felice.

Una buona traversata, a chi non è come neve...

venerdì 30 ottobre 2020

Sta a vedere che sappiamo già com'è

Dov'è andato a finire Ottobre?
Dov'è andato a finire il 2020?
Dov'è andato il mio tempo?
So come l'ho investito ma non mi rendo conto di come sia stato possibile lasciarlo passare così, come un soffio.
La mia agendina mi ha chiesto un resoconto mensile; fino ad ora, oggi escluso, il 98% delle mie giornate è stato percepito dalla sottoscritta come "ottimo", il restante come "ok".
Non male, per una che ha la tendenza ad auto-sabotarsi di continuo.
Ho imparato l'antica arte del "ridere di ogni problema, mentre chi odia trema".
Nella fattispecie comunque non mi pare di aver dato motivo ad alcuno di odiarmi.  Resta il ridere.

La mia mente è stata quasi sempre occupata in qualcosa di utile, motivo per il quale anche le giornate no, alla fine, sono andate come dovevano: verso l'ok.
Ho trovato anche il tempo per cenare con i miei amici, prima che ovviamente tornasse di moda chiudere i locali prima del calar del sole.
Sono sempre state serate divertenti, molto terra, terra come mi piace definire il mio gruppo di amici (io apri-fila, si intende). Serate che spesso migliorano anche l'autostima, quando ti viene voglia di indossare qualcosa di più carino del solito. Per te, non per gli altri sguardi: lo specchio è più lusinghiero di uno sconosciuto.
È che le nostre uscite alla fine girano tutte intorno ad un elemento fondamentale.
La nostra generazione si incontra per bere, noi per mangiare.
Si esce per provare il locale con il panino più zozzo; per la pizza più buona; per l'antipasto più abbondante.
Un sacco di tempo per verificare che i capelli siano a posto per ritrovarsi, dopo dieci minuti, intorno ad un tavolo impregnati del profumo di patatine fritte.
Ma a noi piace così.

In realtà avrei tante cose da raccontare, un fiume in piena. Ma alla fine non ho detto niente.
Aspetto.
Levigo.
Sotterro.
Colleziono.
Ci sono.

Giusto per dire che ci sono.

Una buona serata, a chi non è come neve...

sabato 10 ottobre 2020

Tutti dentro (e tutti fuori)

Il cuore è sopravvalutato, diciamocelo.
È lo stomaco, la pancia.
Non ci avevo fatto caso.

Lo sanno tutti che non si può vivere per sempre con le mani impiastricciate di zucchero filato. Lo sapevo anche io e così mi sono preparata a tempo debito al momento in cui avrei dovuto ripulirle; a quando non avrei avuto più voglia di dolce sulla lingua. Ho fatto quello che ultimamente sembra riuscirmi meglio. 
Ho caricato due libri di aspettative. Scelti casualmente ma non a caso (c'è gran differenza). Una promessa ciascuno, sempre la stessa: "al momento giusto".
Arrivato il primo.
Non sarà una recensione, la mia (per quella vi rimando ad una blogger esperta ben più brava di me, qui).
Storia di un corpo. Un diario raccontato solo attraverso il proprio corpo.
Niente di più, niente di meno.

Sono molto fisica nelle emozioni che provo, ma stoicamente non le esterno mai. Un uragano dentro una bottiglietta di plastica.
Ecco, proprio così.
La bottiglietta di plastica fa la sua figura. Con un uragano dentro, poi.


**/**/2020 19.46
La rabbia.

Ieri prima di addormentarmi ho sentito dentro la rabbia montarmi su per lo stomaco, l'ho sentita accendersi proprio come una striscia di lava che mi è risalita fino a formare una pozzanghera incandescente sul cuore.
Il battito è più accelerato, una scossa elettrica che manda impulsi impazziti su e giù. Non riesco a star quasi ferma, sollevo il busto e stendo le gambe. Dura un attimo, a volte anche due, finché non decido cosa fare.
È in questi momenti che il mio istinto acceca la mente; niente più raziocinio, solo "vado o resto?". Generalmente decido di andare.
Oggi sono rimasta.
Ho resistito.
Nel momento esatto in cui mi si palesa la scelta che voglio prendere, il respiro rallenta, il cuore lo accompagna.
Sciolto dentro la mia lava.

04/10/2020 22.09
La tristezza.

O la malinconia, o la nostalgia, o la paura. Fa quasi lo stesso.
Un filo sottilissimo attorno all'intestino, che più mi muovo, più lui stringe.
A volte arriva in gola, un fiocco attorno ad un pacco regalo che alla fine è vuoto.
Una sensazione che mi mette a disagio, forse la peggiore, quella che mi fa sentire meno me stessa.
Il cuore è lento ma mi sembra di sentirlo rimbombare come un eco fortissimo in un incavo vuoto. Poggio l'orecchio sul materasso e sento la sua vibrazione uscire e poi rientrare dentro violentemente, rimettendosi al suo posto. Questo mi calma. Mi ascolto da fuori, eppure sono dentro di me.
Se ne va come se non fosse mai stata là, chiunque lei sia. Non mi lascia niente. Per questo ogni volta che torna è come se fosse la prima.

**/10/2020 03.46
L'eccitazione.

Ancora lo stomaco. 
Ma dolcissimo, stavolta.
Quasi un bagno caldo che mi contrae piacevolmente il ventre. Il cuore sta al proprio posto, si accende alla fine.
Il resto è mio.

Passa tutto per lo stomaco: il primo segue soltanto il secondo. Il cuore è sopravvalutato, ce lo siamo detti finalmente.
È lo stomaco, la pancia.
Ora ci ho fatto caso.

Buon fine settimana, a chi non è come neve...

venerdì 25 settembre 2020

Bolle di sapone intorno al mondo

Seduta sul letto.

C'è un'impronta sullo specchio.
È la mia impronta.
È il mio specchio.

Essere felici per un motivo in particolare è bellissimo.
Essere contenti senza una ragione specifica è sublime.
La felicità è la torta al cioccolato che ti esplode in bocca. Quella che si impossessa del palato, della lingua, delle guance. Una bufera. 
La mia contentezza è più uno zucchero filato. Ti si adagia piano sulla lingua, si scioglie appena entra in contatto con le papille gustative ma fa in tempo a farle impazzire. Una brezza. 
Questa settimana mi è scivolata tra le dita esattamente come farebbe l'acqua se provassi a trattenerla tra le mani. Veloce, trasparente, inconsistente, eppure concreta contro la mia pelle.
Ho avuto tanto da fare, tanto da recuperare e tanto da programmare. Ho sentito sonno, ho profuso energia ed ho ricevuto una bella notizia. Un nuovo progetto di cui vi parlerò a tempo debito. 
Non ho avuto quasi tempo per pensare, il che è qualcosa di inusuale per me, mentale come sono.
Ma ho avuto tempo per godermi il temporale.
Il cielo ha brontolato un po', da lontano, sotto i primi, veri fulmini della stagione ed io ho sorriso per tutto il tempo, seppur sarei dovuta uscire di casa da lì a qualche minuto.
Mi è venuta in mente una canzone che stavo già canticchiando distrattamente e l'ho cercata per ascoltarla. La conoscevo già bene eppure arrivata ad un certo punto, come una illuminazione, ho pensato "questa frase la voglio mia". 

Tanti modi per fare proprio qualcosa. 
Un amore, uno stile di vita, un lavoro, una canzone. 
Io la frase l'ho fatta mia nel modo più semplice che conosco. Mi sono alzata dal letto esattamente come farebbe una bambina che ha appena scoperto il gioco dell'anno e ho preso l'evidenziatore giallo posato nel cassetto. 
In fretta, come se quelle potessero scapparmi, ho scritto una parola dietro l'altra sul mio specchio, in alto, quasi al centro. 
Ma l'evidenziatore su quella superficie non resta. 
Ed invece si. 
Ma l'evidenziatore su quella superficie non si vede.  
Si, si vede. 

Io la vedo. 
Inebetita, io la guardo. 
Come una bambina che è appena riuscita a rubare tutte le caramelle da un cassetto segreto. 
Me la immagino proprio così la mia faccia. 
Inebetita. 
Non c'è bisogno di immaginarla. Sono davanti ad uno specchio. 
Confermo. Inebetita. 

Ho le mani ancora appiccicose di zucchero filato. 
Le guardo e le riguardo, come una bambina che sa di doverle lavare ma rimanda comunque ancora un po'. 
Sono rimasta seduta, con il mio evidenziatore giallo. 
Ho il corpo di una donna ormai, le gambe lunghe, i fianchi disegnati, i capelli sempre liberi sul lato sinistro, più giù del seno. 
E le mani ancora appiccicose di zucchero filato.
Come le bambine. Quelle contente.

È la mia impronta. 
È il mio specchio. 

Una buona giornata, a chi non è come neve... 

mercoledì 9 settembre 2020

Let it take you over

Bisogna un po' dirsele le cose, ammetterle.
Questa estate è stata pessima, per la sottoscritta, sotto alcuni punti di vista.
Ho fatto parecchia fatica per cercare di tenere l'umore sempre alto ma la verità è che, alla fine, ho dovuto arrendermi.
In realtà forse ho sbagliato semplicemente la gestione del prima.
In realtà forse non è stato sano quello che ho fatto nei mesi precedenti.
Mi sono sforzata, perché son fatta così, di guardare semplicemente avanti. Ed era giusto che fosse così.
Ma non mi sono mai concessa nemmeno un attimo per prendere consapevolezza che certi magoni dentro lo stomaco ancora non si erano sciolti.
Ho semplicemente avanzato prendendo l'abitudine di far finta di niente. Ed ho quindi collezionato.

Collezionato nodi in gola con tanto di cappio, lacrime congelate, sensi di colpa pre-confezionati, rimorsi e rimpianti appiccicosi come le gomme da masticare sulle suole delle scarpe.
Collezionato per un tempo esageratamente lungo finché non è arrivato il caldo -ma la temperatura era solo circostanziale- a prendermi a schiaffi ed a portare alla luce quello che già sapevo.
Tutto d'un colpo nelle prime settimane di Agosto ho cominciato a sollevare quella patina che mi ha ricoperto come la polvere un vecchio libro abbandonato e senza nemmeno bisogno di scavare ho trovato tutto là, in superficie ad aspettarmi.
Non è stato difficile come pensavo. Non è stato semplice come immaginavo.
Ho lasciato semplicemente andare e, una volta toccato il punto più basso -o così mi è sembrato-, ho deciso di risalire. 
A piccoli passi, senza forzare nulla.

Tornare a lavoro ha aiutato tantissimo.
Riavere la mia routine, anche a discapito del sonno, mi ha restituito le energie che avevo disseminato qui e là come le briciole di pollicino.
Anche tornare a studiare su un manuale enorme (che probabilmente terminerò più a rilento di quanto avessi preventivato) mi ha riaccesa: ho preso nota del fatto che, per farmi stare meglio, mi basta tenere attiva la mente, anche solo sforzando la memoria.

Ho quindi ricominciato ad essere più leggera.
Leggera davvero, in un modo un po' diverso da come mi sentivo nei post precedenti dove tutto a tratti andava bene ma non riuscivo comunque a mantenermi costante, nonostante i vari sforzi.
Avevo dei pensieri quasi ossessivi (il ché è forse un termine pesante da leggere, ma è solo perché, in effetti, io sono così: leggermente ossessiva nelle cose; se però suona meglio possiamo dire "ridondanti").
Avevo dei pensieri ridondanti (si, dai, va meglio con questo termine), che mi sabotavano. Erano legati a delle aspettative che non dipendevano da me e dato che, spesso, le aspettative nascono per essere disattese, cadevo proprio là dove non potevo avere il pieno controllo delle cose. Sempre nello stesso punto, tra l'altro.
Poi, come sempre mi accade, un giorno ho ricevuto uno schiaffo che non mi aspettavo; mi son lagnata un po' e da quel momento in poi mi sono detta molto onestamente che dovevo smetterla.
Ed ho smesso.

Anche i buoni libri sono stati una meravigliosa via di fuga.
Mai come in quest'ultimo periodo mi sento grata di aver ricevuto questo piccolo, immenso, dono: riuscire ad apprezzare quelle innumerevoli lettere una dietro l'altra, su un foglio bianco, a comporre vere e proprie opere d'arte o anche semplici racconti da un pomeriggio e via.
Se mi dessero un euro per ogni volta in cui sorrido felice di aver trovato un nuovo, bel libro da leggere sarei ricca. 
E pur senza darmelo, mi sento ricca lo stesso per lo stesso motivo.
E per le risate dei bambini.
E per la pioggia al mattino presto mentre ancora sono sotto le coperte.
E per il sorriso strappatomi d'improvviso dai miei amici.
E per i cornetti caldi lasciati da papà a colazione.
E per le cose che mi insegna ogni giorno a lavoro il mio dominus.
E per le mie sorelle.
E per i post che mi vengono in mente prima di addormentarmi.
E per il buongiorno degli sconosciuti incrociati per strada.
E per tutti i "e per" che potrei continuare a scrivere all'infinito.

"...Con la serenità per accettare le cose che non riesco a cambiare
e il coraggio per cambiare quelle che posso,
 in precario ma sufficiente equilibrio
lascio che sia, il mestiere della vita."

Una buona giornata, a chi non è come neve...

venerdì 28 agosto 2020

...As a bottle of wine

Se dovessi descrivere che cosa significa per me spingersi fisicamente oltre, direi "nuotare al largo".
Ripetuto già diverse volte, non ho mai avuto paura dell'acqua anche quando forse avrei dovuto; anche agli estremi dell'incoscienza, saltuariamente.
Il mio mare è profondo, profondissimo.
Ti bastano pochi passi e sei già -letteralmente- acqua alla gola.
Ho sempre ritenuto che questa fosse una condizione normale, abituale. Non mi sono mai posta il problema che potesse esserci qualcosa di diverso e così, quando invece per la prima volta mi sono trovata di fronte a metri e metri di costa leggermente accarezzata da pochi centimetri di acqua, mi son meravigliata ed ho pensato automaticamente che no, quello non era la mia corretta definizione di mare.

Nemmeno te ne accorgi.
Chiudi gli occhi, trattieni il respiro, vai giù, qualche bracciata e pensi di aver fatto si e no l'equivalente di un paio di passi ma quando invece riemergi sei già lontano.
Non lo so a che cosa penso mentre i piedi sguazzano accompagnando le falciate delle braccia; forse non penso a nulla -anche se pare sia umanamente possibile- oppure penso così velocemente da far sfumare poi tutto in una nuvola di vapore inconsistente. Ma la sensazione che provo appena riemergo e vedo la costa così distante la conosco a memoria.
Il fiato corto, il cuore a mille, quasi un attimo di panico a pensare "E se non riesco a tornare? E se c'è qualcosa sotto?". Eppure quell'istinto ad allontanarsi ancora un po' è un richiamo fortissimo, un canto di sirena.
Va sempre così; quando il mare lo guardo in inverno, desolato, spesso furioso, mi chiedo come faccia a non averne paura ma quando arriva il momento giusto riunirmici è la cosa più naturale dell'Universo. Come fare l'amore con il cuore devastato dalle ferite, ricucito ma ancora pieno di liquido rosso che trabocca ovunque.

Poterci accompagnare anche l'impatto visivo è poi tutta un'altra storia.
Un film silenzioso, immobile, di un solo colore ma con mille sfumature diverse. 
Un crescendo di buio che tocca il fondale sabbioso per poi risalire alla luce filtrata del sole.
Anche quello a volte fa paura, perché si ha sempre quella tendenza umana ad aspettarsi, da un momento all'altro, una sagoma che alla fine non arriva mai.
Una quiete stupenda che ti riporta in pace con tutto il mondo, dentro e fuori; fatta di un freddo che qualche volta ti smorza il fiato e la pelle, di "altri 5 minuti e torno".
E magari ne passano 10 prima che tu decida di ripercorrere al contrario la tua strada, un po' più leggera ma anche e soprattutto un po' più ricca.
È in quel momento che, poi, riesci ad apprezzare anche lo stare a ridosso della costa, facendoti cullare dall'acqua bassa con una parte del corpo a contatto, stavolta, con il fondale.

Il mio mare è profondo, profondissimo.
Anche quello che ho dentro, per questo amo nuotare al largo.

Buon fine Agosto, a chi non è come neve...

domenica 16 agosto 2020

"Esco, vado a prendermi un gelato"

Così è la vita.
Come guardare le stelle cadenti.

Con tanta pazienza, tanta devozione. E fortuna. E tempismo.
Lo sguardo nel posto giusto, al momento giusto.
Che se ti sposti un attimo prima o un attimo dopo, niente. Ti sei perso il momento.
Così è spesso la vita.
Come vedere la prima stella cadente dell'anno.
Bellissima, luminosa, lenta. Di quelle che fai proprio in tempo a godertele, a renderti conto di quanto siano stupefacenti.
Non ci si abitua mai. Non mi ci abituo mai.

La prima metà di Agosto è volata via senza rendermene conto.
Un po' di corsa ed un po' strascicandosi, come ben si addice a questi mesi un po' di passaggio. Un po' sfocati che sanno di terra di mezzo verso una meta che sta là, devo solo capire dove e quando.
Di mare ne ho visto poco fino ad ora, ché odio il sole, ma tutte le nuotate che mi sono fatta sono state un'immersione totale, fino quasi all'anima.
"Dovrei vivere come se fossi sempre in acqua".
Ma in compenso ieri sono riuscita a bruciacchiarmi la spalla (proprio una sola) senza sapere come. Così, giusto per dire che questa estate anche io, bianca come i fogli degli scrittori nel bel mezzo di un blocco, ho vissuto un po' all'aria aperta.
La restante metà del mese la vorrei trascorrere diversamente.
Non so ben dire diversamente da cosa, ma diversamente.
Diciamo che, volendo riassumere, potrei forse sintetizzare tutto con un pensiero che mi gira prepotentemente attorno da un paio di giorni "voglio andare al cinema da sola".

È come un puzzle (a proposito, prossimo obiettivo: comprarne uno nuovo da 13.200 pezzi), oppure come riempire centinaia di post-it diversi con una sola parola ciascuno. Poi si ricomporranno perfettamente.
Come il filo di questo post.

Voglio andare al cinema da sola.

Una buona giornata, a chi non è come neve...

martedì 4 agosto 2020

Come fa il mago

Io l'estate non la vivo, la sopravvivo, inutile mentire.
Perdo energie, voglia, forza.

Son stata sulle montagne russe questa settimana, a tratti su a sfiorare il cielo ed a tratti giù quasi a bruciarmi le dita con le fiamme dell'inferno. E la mia reazione fisica a questa afa non ha certo aiutato.
In realtà però mi ha anche fatto quasi bene, che a volte bisogna un attimo addormentarsi un po' per aprire davvero gli occhi.
Comunque ho deciso che questo non sarà un post triste; l'ho deciso esattamente adesso e nel frattempo mi sto chiedendo se, quindi, l'idea iniziale fosse quella di sgocciolare la marea che mi si è infranta dentro qualche sera fa. 
È che tanto per il grigio c'è sempre tempo.

Il rosa è stato il primo compleanno della mia nipotina.
Una festa in famiglia, su uno sfondo bellissimo: le stelle sopra, un prato curato ai piedi e nel mezzo un venticello di buona compagnia. Un'occasione al volo, tra le altre cose, per collezionare foto tutti vestiti eleganti e tutte truccate benissimo.
Il giallo, la mia prima riunione a lavoro da sola. 
Un po' di ansia nella fase preliminare -quella in cui non ho pienamente il controllo della situazione e c'è di mezzo l'attesa del compimento- che poi si è sciolta, come sempre, nel momento fatidico. E mi sono sentita pienamente a mio agio e padrona delle cose che stavo facendo.
Il blu il week-end passato tra prove libere, qualifiche e gara vera e propria.
Niente, Hamilton con la solita fortuna sfacciata aumenta a dismisura la mia antipatia nei suoi confronti ed il mio cuore -traditore della patria- continua a battere ad oltranza per l'Olandese dei miei sogni.
Il viola l'incetta di libri meravigliosi che stanno riempiendo i miei momenti liberi, la mia mente e, ogni tanto, i miei incubi notturni.
Trovare un autore che ti regali un crescendo di stupore, meraviglia, riflessione ed a tratti inquietudine, è come trovare un nuovo amico. Ed io, come fosse una nuova conoscenza in carne ed ossa, faccio di tutto per comprendere quanto più possibile dello stesso, riempiendo la mia libreria virtuale di sue opere e ringraziando ogni volta che ciascuna di esse mi regala un sorriso e non un'aspettativa disillusa.

E poi il resto dell'arcobaleno è sfumato in modo impercettibile, in punta di piedi, tra pomeriggi inchiodati a penna su fogli bianchi e nottate a cercare aliti di vento alle spalle di un cielo generoso di stelle, pianeti e un crescendo di luna.

Che forse davvero, per il grigio c'è sempre tempo.
Che gli anni e le persone non si cancellano come se nulla fosse, e chi crede che io ne sia stata capace probabilmente non ha poi ben guardato con gli occhi giusti.

Una buona settimana, a chi non è come neve...

venerdì 17 luglio 2020

...Mixed with a bottle of gin

Ci sono tante cose che dovrei o potrei scrivere.
Ma lascio che stiano lì, a maturare fino al momento giusto, o ad affievolirsi fino a spegnersi completamente.

Ultimamente ho preso un'abitudine che mai avevo avuto.
Il pomeriggio, quando il sole scende abbastanza, mi sdraio sul balcone di casa.
Da quando sono piccola, l'ho scritto tantissime volte, quello spazio l'ho sempre e solo riservato a punto di osservazione del cielo stellato; non mi ha mai affascinato molto altro.
Ed è cominciato proprio così, in effetti, questo piccolo e personalissimo rito. Volevo guardare le stelle una sera in cui ero particolarmente inquieta, così ho preso un telo da mare e mi ci sono coricata su. Mi sono concentrata sulla sensazione della stoffa ruvida sulla pelle, in particolare sui piedi e sulle mani, e mi è piaciuto quel senso contrastante tra benessere e scomodità.
Il giorno dopo mi è venuto spontaneo ripeterlo, stavolta un po' prima che il buio arrivasse a portarsi con sé i propri lumini che tanto amo. E così piano, piano, ogni giorno rifaccio la stessa cosa; a volte di notte, finché non arriva il sonno, a volte solo per cinque minuti prima di cena.

Ogni volta è diversa ma comunque sempre uguale.
A volte leggo, a volte ascolto la musica, a volte semplicemente ascolto i miei pensieri.
A volte ci vado perché sono triste ed ho bisogno di metabolizzare bene il fatto che, in realtà, non ho motivo per esserlo. 
A volte ci vado perché sono felice ed ho bisogno di ripetermi che ogni giorno c'è un piccolo pretesto per sentirmici.
A volte ho bisogno di spegnerci dentro una giornata proprio no. A volte per celebrare una giornata entusiasmante.
A volte chiudendo la porta che dà su quel balcone riesco a lasciar fuori degli strascichi che vorrei non avere; che in teoria non mi dovrebbero appartenere. A volte farlo non funziona e mi ritrovo piccoli e grandi fantasmi sbucare da tutte le parti.
A volte ci vado da sola per davvero.
A volte ci vado da sola ma per finta.

A volte ci vado in compagnia.
Ho chiesto ai miei nipotini, la settimana scorsa, di portarsi un telo a testa e di seguirmi. Mi hanno chiesto "Ma ci vieni tutti i giorni qui? Perché?". Ci siamo sdraiati tutti insieme, vicini, vicini ed abbiamo cominciato ad inventarci dei giochi, ad ascoltare un po' di musica o, semplicemente, a guardare il panorama che ci si stagliava di fronte.
Abbiamo trascorso così, senza nemmeno rendercene conto, delle ore piene e leggere alla fine delle quali ho risposto alla loro domanda "Visto perché?".

Oggi è uno di quei giorni in cui non so come ci tornerò.
Se da sola per davvero, da sola ma per finta o in compagnia. Se a spegnere una giornata no a celebrarne un'altra entusiasmante.
Però come ogni volta proverò a lasciare là quei fantasmi dispettosi.
Chissà, magari il Venerdì 17 mi porterà fortuna.

Buona giornata, a chi non è come neve...

martedì 7 luglio 2020

...Run for something

Ieri mattina sono dovuta uscire di casa molto presto, così presto da poter invitare il mio migliore amico a fare colazione insieme prima di entrare in ufficio.
Ci siamo seduti al nostro bar preferito, quello nella città accanto alla nostra, con le grandi vetrate a vista ed una sala grandissima.
Un anno fa, esattamente nello stesso giorno, casualmente, io e lui eravamo seduti alla stessa ora, nello stesso bar, a fare la stessa, identica cosa.

"Ieri" di un anno fa era sabato, stavo lavorando già da più di un mese a Roma ed avevo deciso di scappare per un weekend folle a casa mia, giù al Sud.
Ero partita venerdì sera, senza dire niente a nessuno, per arrivare nella mia città al mattino, dopo una notte in pullman completamente insonne.
Il mio migliore amico (l'unica eccezione al "non lo sapeva nessuno") si era offerto di venirmi a prendere alla stazione così da permettermi di mantenere la sorpresa fino all'ultimo e, prima di portarmi a casa, mi aveva offerto la colazione esattamente in quel bar, seduti allo stesso tavolino di ieri. 
Sono arrivata a casa e mio padre stava già fuori, nel cortile. Mi ha guardata a bocca aperta, mi ha abbracciato forte e mi ha detto "che cosa stai facendo qui? Quanto puoi rimanere?". Un colpo al cuore quella che sarebbe stata poi la stessa risposta per tutte le altre successive volte "domani pomeriggio devo ripartire". 
Sono entrata in casa e sull'uscio c'era mamma. Stessa aria stupita, si è commossa e mi ha detto "ma non ci avevi avvertiti!". 
Ho fatto le scale letteralmente a due a due per poi piombare nella camera di mia sorella che ancora stava dormendo. Ho aspettato un po' che avvertisse la presenza di qualcuno nella stanza, appena socchiusi gli occhi mi ha detto "ma che ca!!!" e l'ho abbracciata ridendo. Lei con gli occhi di una appena sveglia, dopo una notte di riposo, io con quelli di una sveglia da più di 24 ore, dopo una notte di viaggio.

"Ieri" di un anno fa mi sembrava di non avere più il pieno controllo di quello che stavo facendo, sapevo che non stavo percorrendo la strada lavorativa giusta, lo sentivo ogni mattina che timbravo il mio badge e però facevo di tutto pur di non arrendermi, pur di non mollare. Il mio amico mi chiedeva "è tutto ok? Che stai combinando?" anche se sotto, sotto sapeva già che cosa gli avrei risposto.
Un anno dopo, incredibilmente, la sua domanda non è cambiata troppo -"è tutto ok? Che cosa è successo in questi giorni?".
È la risposta ad essere cambiata, stavolta.

Un anno fa uscivo da quel bar con il sole in attesa fuori, cocente, ed entravo in macchina con il magone sapendo che, nonostante fossi appena arrivata, era già cominciato il conto alla rovescia per la ripartenza.
Un anno dopo sono uscita da quel bar con la pioggia che cadeva a dirotto e l'aria fresca. Sono entrata in macchina con il sorriso perché all'inizio di una nuova settimana lavorativa.
Un anno fa entravo in camera mia, chiudevo tutte le finestre e la porta dietro di me per recuperare un po' di sonno perso.
Un anno dopo dietro di me ho chiuso la porta del mio ufficio, con in mente la mappa di tutte le cose da fare e consegnare entro le successive ore.
Un anno fa mi chiedevo che cosa avrei fatto da lì a qualche mese, persa tra mille dubbi, tra tutte le incertezze che ti lascia la consapevolezza di non star facendo la cosa che vuoi davvero; di star facendo una cosa che non ti appaga, non ti soddisfa.
Un anno dopo sorrido tutte le mattine, anche quelle in cui ho mal di testa e magari vorrei rimanere ancora accoccolata a letto a dormire. Sorrido perché le ore successive so che starò facendo una cosa forse stressante, magari in grado di mettermi addosso la giusta quantità di ansia, ma comunque buona a farmi pensare "io questo lavoro lo adoro".

Un anno fa non sapevo quali fossero le risposte giuste da darmi; un anno dopo non ho bisogno nemmeno delle domande. Un anno dopo, per quanto imprevedibile possa essere la vita, ho già programmato i due Esami di Stato da sostenere nel futuro prossimo.

Un anno fa mi perdevo tra dei sentieri che mai avrei pensato nemmeno di disegnare a matita ed un anno dopo, invece, mi rendo conto che quel sentirsi persa mi è stato indispensabile per ritrovarmi oggi.
Ed oggi lo so davvero dove sono.
Sulla strada giusta.

Buon cammino, a chi non è come neve...

venerdì 19 giugno 2020

Per gustarsi meglio

Vado affrontando un giorno si ed uno no silenziose crisi esistenziali random che non hanno nulla a che fare con qualcosa in particolare che è successa.
Piuttosto, se qualcuno lo chiedesse, risponderei con pacata rassegnazione che "è successo Paola".
No, sarei più specifica. 
"È successo Paola S." -la S. fa tutta la differenza evidentemente; o la farà il punto subito dopo-.

Una delle ultime volte avevo deciso di evitare di invocare la Paola (vedete, qui la S non serve; evidentemente nemmeno il punto dopo) del futuro per venirmi a prendere un attimo a schiaffi e, piuttosto, di concentrare tutti i flussi di coscienza di quella del presente (cavolo, no, adesso però c'è da tornare a Paola S.) dentro la mia agendina.
Ché magari può sembrare una cosa ripetitiva ed invece non mi capitava forse da anni di scrivere in quel modo.
Quello in cui smetti di usare asterischi, filtri, censure e ti dici una volta per tutte quello che vorresti sentirti dire ma fai finta di non averne bisogno perché tu sei fatta così e se non c'è scritto allora non esiste. E se non esiste allora piano, piano col tempo sbiadisce e se col tempo piano, piano sbiadisce non avrai possibilità alcuna di richiamarla alla memoria. Ed allora in quel momento smetterà di esistere davvero, definitivamente.
Comunque pare che questo parlare con le proprie personalità multiple funzioni abbastanza bene dal momento che dopo quella decina di pagine riempite di una scrittura incomprensibile ai più il mio essere sembrava essersi alleggerito.
Si, mi sono data un morso; mi sono assaggiata.
Ed all'inizio mi ha colpito scoprire di essere leggermente amara; di quell'amaro che ti si appiccica in fondo alla lingua e ti fa arricciare un secondo il naso. Ma, soprattutto, mi ha colpito il piacevole retrogusto dolce che mi sono lasciata alla fine. Che tutto sommato ho un buon sapore.

Meglio di quando stili buoni propositi che magari buoni lo sono davvero ma spesso incompatibili con la tua natura (ah, ecco, forse S. si avvicina meglio di quanto sembri esattamente a quella; alla mia natura); che poi ti ritrovi a darti della stupidina per averli violati quando invece lo sei stata ad averli proposti sapendo benissimo che tu non sei così, non sei quello. O quella.

Ma oggi non mi va proprio.
Non mi va proprio di farmi domande, non mi va di darmi risposte.
Mi sono sforzata così tanto in questi mesi di tirare fuori la parte migliore...
Delle mie giornate, delle mie tristezze, dei miei "no", delle mie arrabbiature, delle mie piccole sconfitte.
Mi sono sforzata con dedizione e passione, le stesse che si usano per fare l'amore.
Ma oggi no.
Oggi non mi va di inventarmi momenti "si" per levarmi dalla pelle quelli "decisamente non si"; non mi va di spiegarmi dentro un'agenda o tuffandomi dentro un paio di occhi comprensivi. Non mi va di chiudere i miei e riaprirli con una nuova dose di comprensione, di indulgenza.

Sono seduta a gambe nude sul pavimento di granito.
Che è successo?
È successo Paola S.

Buona giornata, a chi non è come neve...

lunedì 8 giugno 2020

Everything that kills me makes me feel alive

Un modo per auto-gestirsi bisogna pur trovarlo, alla fine.
La sobrietà della mia esistenza si riassume tutta nei miei ossimori. Più ho sonno, meno riesco a dormire, più sono stanca più cose riesco a fare. E viceversa, ovviamente
Mi sono svegliata prestissimo con addosso tutto il sonno del mondo. O almeno, questo è quello che il mio corpo credeva di aver sentito.
Eppure non riuscivo a richiudere gli occhi. Anzi, ho avuto la brillante idea di ricaricare l'attività cerebrale sparandomi della buona musica dritta, dritta nelle orecchie per un bel po'.
Finché ho cominciato a riflettere sul fatto che in tutti i modi mi stavo auto-chiedendo di tornare a riposare, di prendere un po' di fiato dalle ultime settimane che sono state appaganti ma super intense e non so perché ma per rilassarmi -tolte ovviamente le cuffiette e riacquistato il silenzio- ho cominciato a pensare ad una cosa in particolare.

Amo il calore, l'acqua calda, il confine tra coccola ed ustione.
Eppure quella mattina mi è venuto in mente il mare.
Mi si è riversato tutto addosso.

Ho iniziato a sentirlo prima sulla punta della dita dei piedi, esattamente come potrei fare se mi stessi per immergere adesso.
Saliva sulle caviglie, mi solleticava i polpacci, si fermava sulle ginocchia per poi risalire come quando cammini dalla riva alla parte via, via più profonda e ti si blocca un attimo il respiro per il contrasto tra la temperatura dell'acqua e quella del sole che picchia forte in testa; ti vengono i brividi a fior di pelle e ti si contrae per istinto tutto l'addome, il ventre schiacciato su sé stesso, le braccia leggermente sollevate a sfiorare coi gomiti la distesa d'acqua che ti avvolge al suo ritmo.
Ho continuato a camminare, ad occhi chiusi, lentamente, col freddo sempre più pressante e la mente sempre più leggera.
La gola circondata dall'acqua pulita, di un blu intenso che si lascia attraversare esattamente come il tuo corpo sta permettendo di fare al gelo circostante, un leggero peso sulle spalle, la schiena trafitta da centinaia di aghi che più ti muovi, più li senti e più aumentano il desiderio di non startene ferma.
I capelli cullati come in una ninna nanna, un solo passo per farti inghiottire completamente, ti prendi un attimo, ti riempi i polmoni, muovi le braccia intorno a te, ti solleticano anche in quel punto tutti gli aghi che ti stanno addosso, saltelli un po' a gambe unite sul posto per darti slancio, sorridi e poi.
Vai giù.

Mi sono addormentata.
Sott'acqua, bellissimo, leggera.
Per ore.

Non ho nemmeno sognato, ho completamente azzerato tutto, recuperato ogni piccola scarica elettrica del mio corpo e della mia mente, come se non stessi riposando così da chissà quanto tempo.
Sono riemersa ancora col sorriso, preceduta dalle bollicine d'aria liberate dai miei polmoni, ho ripreso tutto l'ossigeno di cui avevo bisogno, ho lasciato ancora per un po' il controllo del mio corpo al mare e poi sono uscita a sdraiarmi al sole.

Perché alla fine, un modo per auto-gestirsi bisogna pur trovarlo.

Una buona giornata, a chi non è come neve...

domenica 31 maggio 2020

Che tutte le eccezioni siano regole


Questo periodo dell'anno lo riconosco bene, nella mia vita.
È quello in cui comincio a guardare dalla finestra ed a vedere una malinconia che non c'è.
La trovo nella limpidezza di un cielo chiarissimo e libero da qualsiasi ostacolo; nell'aria tiepida delle giornate estive che si fanno lentamente spazio e che diventano sempre più lunghe; nel profumo dei miei fiori preferiti che sono l'eccezione dentro la regola per cui a Paola non piacciono poi così tanto i fiori.
Lo scrivo ogni anno un post così, su questa precisa malinconia e lo stavo per fare anche adesso. 
E poi mi son chiesta, chissà l'anno scorso che cosa combinavo in mezzo a questa malinconia; chissà come ci sguazzavo dentro l'anno ancora prima?

A che punto era la mia vita?
Mi stavo già muovendo per arrivare qui?

Così.

Il 2004 è stato, credo, l'anno peggiore. È che non amo molto portarmi addosso il fardello di un passato che mi appartiene solo a piccoli sorsi. Però me lo ricordo bene quel giorno. Oggi, quando avevo 11 anni, uscivo da scuola con la mia sorellina ed entravo in macchina di mamma. Mi ricordo la frase di lei ed il foglio sul cruscotto. Vorrei ricordarmi che cielo c'era quel giorno. Nella mia mente lo immagino esattamente di quel colore là. Tutti i cieli malinconici hanno, paradossalmente, quel colore là.
Se ti incontrassi adesso, piccola me, ti abbraccerei -spoiler: già, sei diventata sempre più brava coi gesti affettuosi, merito dei tuoi nipotini-, ti direi di non preoccuparti di tutte quelle cose che ti son sembrate insormontabili lungo il percorso; di tutte quelle cose per cui ti sei sentita troppo piccola, del tuo arrossire per qualsiasi cosa ed in qualsiasi momento. Diventerai grande, diventerai esattamente quello che vuoi essere e lascerai dentro di te piccole briciole di quella timidezza, di quella paura e di quei riccioli biondi che ti ricorderanno che tu sei sempre tu.

Del 2005 non v'è traccia. Probabilmente ero troppo occupata a vivere la mia vita da dodicenne spettinata per aggiornare il mio diario segreto -e forse, considerate alcune pagine là dentro...è meglio così-.

Nel 2006 e nel 2007 non nuotavo in mezzo alla malinconia, volavo tra le nuvole di zucchero filato delle prime cotte. Incredibilmente, sempre nello stesso periodo, il primo anno sprecavo il mio primo bacio, il secondo mi facevo cullare da un amore semi-platonico con un principe azzurro in miniatura che alla fine mi avrebbe lasciata per un'altra -a 13, davvero, già sto trauma? Allora forse la colpa non è proprio tutta, tutta solo mia!- ma a cui, comunque, ho finito per pensare con dolcezza.
Se ti incontrassi adesso, cara me, non ti direi nulla. Starei solo a guardare con affetto l'imbarazzo nei tuoi gesti impacciati e quella convinzione del "per sempre" che tutti quanti ci portiamo negli occhi, ingenuamente, a quell'età.

Sui due anni successivi si che ne avrei da dire in quanto a malinconia. Forse gli anni in cui mi sono persa più spesso, con più intensità. Scelte sbagliate, persone sbagliate che possono essere ricondotte, comunque, ad una sola scelta sbagliata, ad una sola persona sbagliata. 
Non ti sgriderei, non mi arrabbierei più con te, stupida me. Ti mostrerei semplicemente come certe cose si debbano superare con la mente, non con l'istinto. A denti stretti, dentro le pagine di un diario, e non nel caos di scelte confuse, ad occhi chiusi ma a cuore aperto.

Gli anni dopo li ho trascorsi nella parvenza di una normalità che, da lì a poco, avrei capito non poteva essere assolutamente la mia e nel 2013, rileggendo delle pagine che avevo proprio scordato, mi son resa conto con stupore che quella malinconia l'avrei ritrovata esattamente uguale nel 2019.
E che quella Paola l'avrei trovata ancora, esattamente nello stesso periodo, esattamente con la stessa forma.
Non ci avevo mai pensato -come avrei potuto avere a mente tutti i modi in cui sono stata in un certo mese, tutti gli anni dell'ultimo decennio?- e rivedere tutte in fila queste coincidenze mi ha fatto effetto. Il modo ciclico in cui ripeto gli stessi errori o ne faccio di nuovi con le sembianze di quelli vecchi. Lo schema perfetto dentro il quale aleggia la mia natura da scorpione, quella che desidera l'acqua alla gola, sul dorso della rana morente, ed ogni volta la scampa e ripete "giuro, questa è l'ultima" ma l'ultima non arriva mai
E se potessi tornare indietro, farei tornare la Paola del futuro alla Paola di adesso per sentila dire "stasera è davvero l'ultima".
E dall'inizio del post alla fine, il cielo fuori intanto è cambiato.

E dov'è qui?

Una buona notte, a chi non è come neve...

venerdì 15 maggio 2020

When I go flying off the edge

Credo che queste due settimane siano state, ufficialmente e per tutti, quelle in cui si è cercato di tornare alla normalità in un contesto che di normale probabilmente non ha ancora nulla.
Il 4, come previsto e come ho tanto atteso, ho rivisto le mie sorelle ed i miei bimbi. 
Quando ho sentito le loro voci dalla mia camera da letto e mi sono affacciata dalla finestra mi si è sciolto il cuore a vedere quelle piccole sagome che negli ultimi due mesi sono cresciute più del previsto, lontane da me. Siamo stati comunque tutti molto responsabili e non c'è stato alcun contatto fisico, così come siamo stati attenti a stare abbastanza distanti tra noi e, una volta nella stessa stanza e non all'aperto, ad indossare la mascherina.
È stato bellissimo ma molto triste e fuori dal normale stare tutti insieme senza però avere un minimo di contatto fisico.

La settimana dopo, e quindi questo lunedì, ho messo per la primissima volta -da quando tutto è cominciato- il piedino fuori dalla porta perché ho iniziato di nuovo ad andare in ufficio.
Anche in questo caso siamo stati tutti responsabili e muniti di mascherina (la mia rosso fiammante, eh!), guanti e disinfettante come se piovesse.
È stato particolare il rientro perché quasi, quasi la non normalità era diventata la quotidianità ed il primissimo giorno dietro la scrivania mi son messa a pensare "invece questo è quello che dovrai fare per un bel po' di anni (si spera, almeno)".
Oggi che la settimana lavorativa è finita, invece, è come se in realtà fossi ripartita da dove avevo lasciato.
Come se i due mesi chiusa in casa non fossero mai esistiti.
Ma questo è un modo molto comune che ho di vivere il trascorrere del tempo, e forse è comune anche a voi.

E, sempre a proposito di tempo, ieri mentre aggiornavo la mia agendina quotidiana ho sfiorato con le mani i fogli compilati fino ad ora e, sentendo lo spessore non indifferente della carta accumulata, mi son resa conto di quanto questo anno stia letteralmente volando. E di quanto poco, forse, ce lo stiamo godendo. O meglio, di quanto abbiamo dovuto imparare a godercelo in un modo tutto nuovo, da una prospettiva diversa da quella che ci eravamo immaginati.
Ché la vita comunque e tutto sommato, va sempre così, per i fatti suoi.

Ho deciso di lasciarmi qualche post-it per la stanza, sullo specchio, sugli armadi. Non so perché non ci ho pensato prima. Ho scelto meticolosamente l'ordine ed il significato degli scritti.
Ovviamente il primo è stato riempito con la mia frase di Tiziano.
Il secondo è una citazione tratta dal libro "Castelli di rabbia"

"Dev'essere così, questa cosa dei figli, pensò Horeau: nascono con dentro quello che nei padri, la vita ha lasciato a metà. Se mai avrò un figlio, pensò Horeau tagliando meticolosamente una sottile fetta di carne in salsa di mirtilli, nascerà pazzo."

Una buona giornata, a chi non è come neve...

mercoledì 6 maggio 2020

Come un quadro che ha dipinto Dio

Poco più di una settimana fa ho passato forse le ore più belle degli ultimi mesi. Nel modo più semplice possibile.

Ho speso tutto il giorno ad aiutare mio padre (tra l'altro, non direste mai che dietro la mia faccia d'angelo si nasconde -ogni tanto- un maschiaccio che fa cose da maschiaccio, ma questa è un'altra storia), sfinita sono tornata in camera, ho fatto un po' di esercizio fisico (che questa quarantena è riuscita a smuovere persino la mia pigrizia), fatto la doccia e poi ho deciso di mettere le cuffie ed ascoltare un po' di musica.
Una cosa che faccio praticamente tutti i giorni, generalmente però solo la mattina e poi di notte fonda, ma stavolta mi andava così.
Fuori, nonostante l'ora, il cielo era ancora brillante e mi sono affacciata casualmente alla finestra: la luna era spettacolare, una falce crescente accompagnata da una spruzzata quasi impercettibile di nuvole proprio accanto a lei che, entrate in punta di piedi, esattamente in punta di piedi sono sparite senza dar fastidio mai. Anzi, per il tempo che son rimaste là non hanno fatto altro che incorniciare ed impreziosire ancora di più quel quadro spettacolare.
La seconda cosa che mi ha colpita ed investita è stata l'odore dei fiori; un profumo che amo e che ogni volta non posso fare a meno di riportare qui perché mi colpisce sempre particolarmente.
Con le note musicali ancora nell'orecchio ed il naso deliziato dal dono della natura, mi sono messa ad osservare il nostro bellissimo satellite.
Ho cambiato zoom, messo e tolto il filtro, scattato foto ed ogni volta son rimasta per minuti interi a meravigliarmi di quella creazione.

Non lontano un puntino luminosissimo, che non cedeva nemmeno un briciolo di luce al cielo ancora splendente e che, probabilmente, se in questi giorni avete alzato il nasino, non avete potuto non notare anche voi. Venere, bellissima, che in realtà sembra una fiammella ardente lontana ma che nasconde una magnifica sorpresa se osservata con occhi attenti e curiosi: delle fasi simili a quelli lunari che stupiscono chi sa cogliere questo tipo di bellezza.
Ho passato così delle ore e la luce ha lasciato poco a poco spazio al buio ed il buio, a sua volta, ha lasciato spazio poco a poco al mio primo, grande, amore.
Ora, io non so perché, non me lo so spiegare e non so spiegarlo a parole nemmeno a voi, ma ogni volta che il mio sguardo affonda in mezzo a quella vastità di puntini...mi sento così felice, così stupita, così fortunata ad avere degli occhi per guardare...che mi viene quasi da piangere.
Il mix perfetto per me, qualcosa che è sempre stato là ma che vado a scoprire ogni volta come se fosse la prima, come se ci stessi capitando per caso.
E la cosa ancora più bella è che in quelle ore la mia mente si è svuotata; non ho pensato a nulla assolutamente a nulla; come se mi fossi liberata di tutte le cose sbagliate che ho commesso nella mia intera vita; come se minuto dopo minuto la mia esistenza si fosse alleggerita di tutte le amicizie sbagliate che hanno incrociato la mia strada in questi anni; come se non fosse esistito un mio passato e come se non avessi dovuto mai più preoccuparmi del futuro.
Ho chiuso la finestra che era ormai ora di cena inoltrata e sono corsa ad appuntare nella mia agendina giornaliera quella felicità per essere sicura di non scordarmene più.
Non credo che avrei potuto comunque.

Ed a margine, in un posto riservato agli appunti più importanti, ho lasciato una traccia di una sola riga: "guarda le stelle e sarà tutto bellissimo".

Una buona serata, a chi non è come neve...

mercoledì 22 aprile 2020

...Case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale...

Quando finisce una relazione finisce molto più di un rapporto tra due persone.
Ti cambia la vita senza nemmeno rendertene conto con la stessa velocità e con la stessa lentezza messe insieme con cui ti è cambiata nel momento in cui la relazione era iniziata.

Finiscono le abitudini.
Quelle in cui si programmava in due; quelle in cui i biglietti erano comprati guardando agli impegni dell'altro; quelle in cui c'era sempre un treno da prendere ed un altro da aspettare.
Il buongiorno al mattino, la buonanotte alla sera, i che hai mangiato oggi, che mangeremo stasera.
Il nome in rubrica, le foto alle pareti, le pagine di un'agenda, i messaggi di una chat.

Non lo so quando ha iniziato a finire.
È una cosa che fa impazzire. Con la mente ci ho provato migliaia di volte a raggiungere quel momento esatto ma non ci son riuscita...È possibile addormentarsi di notte e svegliarsi al mattino con la consapevolezza che nel frattempo qualcosa ha fatto tutta la differenza del mondo?
Non lo so, non credo che qualcuno al mondo possa darmi questa risposta oppure che a questo punto possa essere davvero utile.
Forse certe cose devono solo accadere.
Ci ho pensato tanto all'opportunità di scrivere questo post. Forse avrei dovuto evitare di pubblicarlo o anche solo di scriverlo, o forse ho fatto bene perché averlo messo qui non cambia quello che è stato.
Qui dove tutto è iniziato adesso mi dilania il cuore e l'anima sapere che è anche tutto finito.

A volte mi chiedo se sia possibile essere fatti peggio di me. Me lo chiedo senza durezza nei miei confronti, senza delicatezza. Me lo chiedo come una constatazione, un dato di fatto.
A volte mi chiedo quanto possa davvero fare male il modo in cui parlo, la freddezza con cui sembra io mi esprima e che sono certa i miei interlocutori abbiano avvertito più di una volta.
Ma io non ho un altro modo di essere io ed anche adesso che mentre scrivo la tristezza trabocca dagli occhi, semplicemente la asciugo con le maniche della mia maglietta e faccio finta che non stia succedendo a me.
Non lo so perché ha iniziato a finire.
Era come se stessimo preparando insieme una torta; entrambi la volevamo esattamente nello stesso momento e dello stesso gusto. Avevamo già preparato tutto l'impasto, avevamo messo insieme tutti gli ingredienti necessari. Ne mancavano solo due. Solo io avevo il mio e solo lui aveva il suo.
Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato, lo avevamo atteso e programmato fin dall'inizio, e proprio quando ci siamo trovati di fronte all'impasto perfetto...nessuno dei due è riuscito a cedere la propria parte. Era troppo grande...

Ed è iniziato un fiume di parole e di risentimento e rancore e rabbia e tristezza e senso di abbandono e solitudine ed ancora altra rabbia ed altro rancore ed altra tristezza da entrambe le parti. E si è accumulato tutto sulle spalle e poi sul cuore e non sono riuscita più a togliermelo di dosso ed a poco a poco ho capito che non potevo, non riuscivo più. Non avremmo retto...

Ho tradito le promesse che ci eravamo fatti, ho tradito la fiducia che ci eravamo scambiati, ho abbandonato i sogni che avevamo ben piegato dentro i nostri cassetti più cari ed i progetti che avevamo disegnato nella mente e nel cuore.
L'ho fatto per mesi in punta di piedi, piangendo di nascosto la notte o il pomeriggio perché non potevo accettare l'idea di star facendo quello che stavo facendo e poi sono esplosa quando i muri si sono moltiplicati e sono diventati sempre più alti.
Non hai avuto il coraggio di chiedermi le cose giuste ed io non ho avuto il coraggio di rispondere lo stesso.
Ho scelto con fermezza di chiudere la porta, ho agito senza delicatezza perché forse dimostrare la propria insensibilità in questi casi aiuta a vedere lucidamente chi hai di fronte ed a comprendere che non ne vale più la pena. Che non ne valgo più la pena.
E me lo dico senza durezza nei miei confronti, senza delicatezza. Me lo dico come una constatazione, un dato di fatto.

Ho riconosciuto i miei errori, ho dato loro un nome come si fa coi vecchi amici ma non m'è servito stilare una lista, perché è stato sufficiente fare i conti tra me e loro.
Avrei potuto agire in modo diverso, forse; non dubito che dall'altra parte qualcuno lo abbia pensato e lo stia pensando ancora, ma non ci sono riuscita, non ce l'ho fatta a non dare conto alla me stessa che sono sempre stata. Che sono sempre stata.
Ma a volte si toccano alcuni tasti che non possono essere scoperti; a volte ci sono delle regole tacite che devono essere rispettate e quando queste si infrangono, da qualsiasi parte arrivi la violazione, non c'è più modo di tornare indietro per sanarle.
Non lo so quando tutto ha iniziato a finire.
Ma era inutile torturarsi ancora in quel modo.
Era inutile cercare di scendere a dei compromessi che, in teoria, avremmo già dovuto raggiungere da tempo. Che, in realtà, pensavo avessimo.
Era inutile cercare di aggiustare qualcosa che si sarebbe rotto in qualsiasi altro momento più in là, facendo solo ancora più male, distruggendo i cocci già fragili per dei cocci ancora più piccoli, più aguzzi, più taglienti.
Mi sono sempre detta che quella cosa del "l'amore non basta" fosse una scemenza. Lo dicevo proprio fermamente, convinta, come si ripete un mantra.
Invece l'ho provato sulla mia pelle.
L'amore non basta, alcune volte.
Servono dei sacrifici ed in alcune storie questi sacrifici sono indispensabili ma così grandi che, senza nessuna colpa, nessuno dei due partner riesce a portarseli sulle spalle.
Che quando ci sono andata vicina, quando ci ho provato, è cominciato ad andare tutto male.

Forse quello è stato il momento in cui tutto è iniziato.
Il momento in cui tutto è finito.

Vorrei che le mie parole non ti torturassero.
Vorrei che il mio pensiero non ti tormentasse.
Vorrei che un giorno svegliandoti tu ti accorgessi che avevo ragione.
Vorrei ti restassero solo le cose belle.
Vorrei che tornassi su questo blog quando nel tuo cuore ci sarà ormai solo un bel ricordo, senza malinconia, senza dolore, senza tristezza, senza risentimento, senza pentimento.
Vorrei tornassi sul tuo quando sarai diventato una persona nuova, felice, con accanto qualcuno di giusto. Veramente giusto.
Vorrei non fosse successo a noi.

A chi non è come neve...

...Che anche se non valgo niente, perlomeno a te...

mercoledì 15 aprile 2020

Il biglietto ce l'ho

Sono state la Pasqua e la Pasquetta più tristi di sempre.
Dai, qualcuno doveva pur dirlo.
È che a casa mia, coi bambini, in condizioni normali ogni giorno è un giorno di festa. Invece adesso la festa è stata esattamente uguale ad un giorno normale.

Questo stare a casa sta cominciando a pesare.
In realtà mi pesa tantissimo non poter abbracciare i bambini. Ho capito d'essere diventata vecchia perché da piccola piagnucolavo per l'impossibilità di conoscere Tiziano*, adesso piango guardando le foto ed i video dei piccini.
Sono l'unica che si sente come se tutto questo fosse iniziato un anno fa ma, contemporaneamente, come se fosse iniziato solo l'altro ieri?

Fuori le nuvole di questi giorni non hanno comunque coperto la primavera che si è risvegliata sotto forma di profumi meravigliosi; il mio preferito, quello del gelsomino, mi ha investito spesso e volentieri anche di notte, mentre mi affrettavo a chiudere la finestra balcone.
È una cosa che amo e che, probabilmente, come ogni anno, mi ispirerà qualche post.
Tra l'altro scrivere è l'unica cosa che ancora mi va di fare giorno dopo giorno sulla mia agendina, eppure c'è un post tra le bozze che non riesco a terminare. In realtà è a malapena iniziato.
Credevo sarebbe stato più semplice mettere nero su bianco qualcosa che nella mia vita è stato già scritto -probabilmente non sono l'unica ad averlo pensato, in realtà- eppure non ci riesco proprio.
E poi sono entrata in quel periodo dell'anno in cui non riesco a mangiare, non mi vien proprio appetito. Quindi sarò forse una delle poche persone che alla fine della quarantena si ritroverà più in forma di prima.

Io ed i miei amici siamo passati alla fase "Ed oggi che facciamo? Un'altra giornata senza fare niente. Aiuto, voi che fate?". Però qualche cosa alla fine riusciamo sempre a dircela. Non sensata, ma divertente si.
In effetti, se ci penso non saprei proprio riportare a mente l'esatto modo in cui stanno trascorrendo le mie giornate.
Sicuramente sto leggendo, anche se non tantissimo come potreste immaginare perché faccio fatica a trovare qualcosa che mi incolli alle pagine; in televisione non stanno mandando praticamente niente di bello ed in camera mia non la accendo da non so quanto tempo. In compenso sto dormendo pochissimo, ad orari sregolatissimi. Infatti sarà un problema quando dovrò tornare a dei ritmi più consoni. Rimasta costante, invece, la musica sempre a palla sul mio telefono.

Lotto un giorno si e l'altro pure con me stessa ed i miei pensieri. Se mettessi per iscritto quello che mi gira per la mente non credo qualcuno ci capirebbe qualcosa perché, sostanzialmente, non ci capisco nulla nemmeno io.
Diciamo che l'altra volta sono arrivata, con un lampo di genio, ad una massima del tutto personale sulla quale non dubito potrei tornare con un post apposito, in un momento migliore: forse, semplicemente, non si può fare la cosa giusta se si è una persona sbagliata.
Così, me la sono buttata come un pugno in faccia perché mi è andata di pensarla e di appuntarla tra le pagine che stavo riempiendo.
Mi riservo di rifletterci ancora a lungo.
Che mi era preso pure lo sfizio di iniziare a fare meditazione. Che pronunciare Paola e meditazione nella stessa frase è come parlare di non so cosa a non so chi. Però non si sa mai che la mia parte zen sia nascosta da qualche parte e che possa essere addirittura più saggia della Paola tutta istinto e rancore. Mi riservo, anche qui, di aggiornarvi eventualmente sulla questione.

Ed infine niente, ci tenevo a scrivere questo post in cui in realtà non ho scritto niente. 

*Succede ancora, chi voglio prendere in giro...

Una buona giornata, a chi non è come neve...

venerdì 3 aprile 2020

...Like a poetry...

Il miei pensieri fanno giri immensi e poi ritornano, semicit.

Mi sono resa conto di una cosa piuttosto simpatica, se non probabilmente poco comprensibile, su cui ho sempre riflettuto, in realtà, ma che ultimamente ho avuto modo di prendere in considerazione ancora più del solito.
Quanto costa scrivere su un blog come il mio, come il vostro?
Qual è il confine tra la me dietro lo schermo e la me qui dentro?

Io amo il mio blog, lo amo profondamente, tanto quanto amo le mie agendine e questo probabilmente è un sentimento che condividete anche voi per le vostre "creature". Eppure devo ammettere che ho un rapporto particolare con loro.
Le pagine che vi ritrovate a leggere sono, indubbiamente, delle finestre sulla mia vita: è quello che penso, quello che sento e spesso anche quello che mi succede nelle mie giornate migliori o peggiori.
Sono state lo sfondo di tante mie piccole vittorie, di tante mie piccole paure; ho scritto con il sorriso, ho scritto con i denti stretti dalla rabbia ed ho scritto con gli occhi appannati dalla tristezza. Ho scritto post per me stessa, post per voi, post per i miei affetti più vicini, addirittura post per esprimere il rancore verso gente che ho deciso di non volere più nella mia vita.
Eppure non ho mai, volutamente, scritto tutto.
Eppure ci sono cose che ancora non sono pronta a pubblicare.
Così, spesso, questo mio spazio non si è trovato allineato cronologicamente con il flusso del mio vivere.
Così, spesso, ho deciso di non dire anche cose importanti o ho deciso di dirle in ritardo, o meglio, nel momento più consono, quello giusto per me.
Che a volte non c'è nessuna differenza nello scriverle; che l'azione di metterle semplicemente nero su bianco non cambia il fatto che siano successe e che qualcuno ne possa essere già a conoscenza, ma decido comunque di non volerle ancora qui.

È una cosa che non ha a che fare con il "non voglio che le leggiate", o con il "non voglio rileggerle io". Ha a che fare con la necessità di trovare le parole giuste, anche per descrivere semplici cose che accadono o sono accadute prima o poi nella vita di tutti. Ha a che fare con il tempismo, quello che è per me una personalissima legge che regola un bel po' della nostra esistenza e che merita un po' di attenzione da parte nostra se poi vogliamo da lui lo stesso, rispettoso, trattamento.
Ha a che fare con la delicatezza, soprattutto.
Con la delicatezza. Anche se è una qualità, questa, che paradossalmente molte delle persone che mi conoscono non mi attribuiscono.
E questa cosa, questo rispetto dei modi, dei tempi, delle parole, mi accompagna anche nell'intimità delle mie agende, quelle che sono alla portata dei miei soli occhi.
Anche in quel nascondiglio personalissimo quanto scrivo è spesso in ritardo rispetto a quanto vivo ed il più delle volte mi basta una semplice frase sconclusionata su un post it per notificare all'Universo che, anche se tutto sta andando avanti, io di certe cose della mia vita non mi son scordata. Ho solo deciso che ci tornerò su più in là.

Non mi stupirei se, alla lettura di qualche mio post -passato, presente o futuro-, corrispondesse un vostro "lo sapevo già, lo immaginavo, l'avevo detto io" e se, a allo stesso modo, si associasse anche un "ed ha aspettato tanto per dirlo? Qual è la differenza tra prima ed ora?".
Ecco, io non lo so proprio spiegare a parole qual è la differenza.
Ma so che c'è, la sento ogni volta che mi metto davanti ad un foglio bianco, a righe, a quadri o davanti ad un pc.
C'è differenza, per me.
E fa tutta a differenza del mondo.

Una buona giornata, a chi non è come neve...

venerdì 27 marzo 2020

...Chi vive d'amore, chi ha fatto la guerra...

Diario semi-serio -e non aggiornato- di una quarantena forzata (ma corretta e da persone civili).

Cose degne di nota accadute negli ultimi undici giorni.
Il "degno di nota" deve essere rapportato al fatto che siamo chiusi in casa,
abbassate le aspettative, prego.

Pare che questa quarantena potrebbe servire a cambiare il modo di osservare le cose ed in particolare, spenderla in solitudine, dovrebbe aiutare il nostro lato riflessivo ed introspettivo. Io che dell'introspezione ho fatto un sano stile di vita non ho notato molto la differenza, però ho fatto una cosa molto carina (o inquietante, fate voi). Non l'ho fatta a causa dell'isolamento sociale cui siamo sottoposti, il fatto che sia accaduta proprio adesso è solo un simpatico gioco del tempismo cosmico. L'ho fatta perché in quel particolare giorno sentivo l'esigenza di farla, pensando ad alcuni momenti passati l'anno scorso.
Mi sono scritta una lettera. Ho scritto una lettera a me stessa, anche se non ho ben capito se dovrebbe essere rivolta a me in quanto me o ad una qualche me del futuro. 
La considerazione che ho nei miei riguardi è riassumibile nella frase di partenza della lettera in questione "(...) anche se sei la persona più testarda che conosco, anche se tutte le tue scelte sono guidate dall'istinto, devo scriverti questa lettera (...)". E, sempre per la considerazione immutata, quasi alla fine della lettera mi spiego che "(...) È per questo che ti scrivo. Poiché sei la persona più testarda che conosco, poiché tutte le tue scelte sono guidate dall'istinto, io devo scriverti questa lettera (...)".
Lo so, io la sono la guida spirituale peggiore che potessi scegliere.

Pare che questa quarantena potrebbe servire a recuperare tutto il tempo perduto nella frenesia della vita quotidiana, dandoci la possibilità di fare tutte quelle cose che sogniamo ad occhi aperti e che i doveri dell'esistere ci costringono a rimandare.
Ed ho così concluso un libro stupendo sull'astrofisica che avevo colpevolmente accantonato per l'ennesima volta perché leggendolo avevo l'assoluta necessità di prendere anche appunti a riguardo ed ora che invece è tutto completo credo che lo rileggerò di nuovo per assicurarmi di aver assimilato tutti i concetti più difficili. Ne ho iniziato un altro sullo stesso argomento -in realtà probabilmente meno fruibile del primo ma a cui dedicherò altrettanto scrupolo nello stilare gli appunti più utili nel mio fedele quaderno.

Pare che questa quarantena ci renda comunque più vicini proprio per l'assurdo paradosso del tenerci lontani e che ci spinga a re-inventarci pur di non impazzire fissando per ore un soffitto bianco.
Io e mia sorella (l'unica che vive sotto il mio stesso tetto; per fortuna ho anche lei) abbiamo rinnovato la sua camera da letto, spostando mobili pensatissimi, riordinando il suo caos (non potete immaginare) con la musica a palla e le risate a piegarci i fianchi. Spostando il letto che era rimasto in più da lei, abbiamo recuperato un materasso...
Ora.
Immaginate due sorelle annoiate ma sempre briose con a disposizione due rampe di scale ed un materasso...che altro avrebbero dovuto fare?
Lo so che può sembrare irresponsabile ma vi assicuro che è stato meno pericoloso del previsto (ma troppo divertente, ve lo consiglio).
Sempre per lo stesso concetto del re-inventarsi abbiamo festeggiato a distanza il compleanno del più grande dei miei nipotini con una video chiamata piena di persone in cui si è finiti per capire il nulla ma che almeno ha fatto sorridere il bambino -ometto- che non ha spento le candeline da solo ma con una canzone cantata con la distorsione di undici diverse connessioni internet.

Pare che questa quarantena ci costringa anche ad aspettare osservando numeri e conteggi che speriamo si fermino ed indietreggino quando indicano contagiati e decessi e che ci auguriamo crescano quando indicano dimessi e guariti. Ma proprio perché sono certa che la conta assilla ognuno di noi praticamente ogni momento della giornata, per stavolta ho deciso di lasciare questo capitolo fuori dal mio non-resoconto non-settimanale. 
Che per sperare c'è sempre tempo, modo e luogo.

Una buona quarantena, a chi non è come neve...

lunedì 16 marzo 2020

...Chi gioca col fuoco, chi vive in Calabria...

Diario semi-serio di una quarantena forzata (ma corretta e da persone civili).

Lunedì: tutta l'Italia è dichiarata zona rossa, da domani spostamenti limitati il più possibile e solo per giusta causa. Ok, posso farcela per un mese. Sono rimasta rintanata in casa per periodi più lunghi durante le sessioni d'esame all'Università.

Martedì: mi sveglio presto, come ogni giorno durante la settimana, carico il mio Kobo di libri su libri: Oscar Wilde, Bukowski, Tolstoj, Dostoevskij. Vuoi che una buona lettura non ti faccia passare velocemente le ore che non riesci ad occupare con doveri veri e propri? Ma sai che c'è, approfitto per tornare a ripassare qualcosa anche sui miei vecchi libri universitari e poi continuo il mio approfondimento sull'Inglese, come sempre.

Mercoledì: no, oggi proprio non ce la posso fare. Una noia mortale. Leggo ma mi annoio (Bukowski troppo volgare, continuo perché sono curiosa di capire dove andrà a finire la storia); preparo una ciambella ma mi annoio; decido di recuperare una serie di cui ho sentito parlare benissimo, mi piace ma dopo un paio di puntate voglio fare altro. Ecco, è scattata la mia psicologia inversa: non mi va mai di uscire ma adesso che so di non poterlo fare lo voglio! Domani impazzisco.

Giovedì: oggi preparo di nuovo un dolce, stavolta biscotti. La quarantena mi sta dando alla testa. "Oggi è solo Giovedì?! Cavolo, pensavo fossimo già al week end! Embè, ma tanto che mi cambia essere a Sabato?!". Video-chiamo le mie sorelle ed i bambini: siamo civili, non abitando sotto lo stesso tetto non ci vedremo per tutto il tempo necessario, non vale la pena rischiare.

Venerdì: mia sorella maggiore "Paola ma come facevi a stare così tanto tempo da sola senza vederci? Mi sembra un'eternità, già!" (Lei è lontana da noi già da prima del decreto, aveva un po' di raffreddore ed ha deciso di non rischiare proprio per niente!). Aggiorno costantemente le pagine dei giornali locali sperando che nella mia Regione il virus si fermi a numeri sostenibili. Siamo messi male qui giù, non reggeremmo.

Sabato: almeno stasera posso guardare le risse a C'è posta per te. E poi il mio corpo ormai si è abituato al fatto che nel fine settimana si può dormire fino a tardi, quindi mi sveglio ad un'ora meravigliosamente pigra. Video-chiamo i miei amici, fa sorridere il pensiero che, con questo pretesto, cerchiamo più di prima la vicinanza.

Domenica: sulla chat di WhatsApp della mia famiglia arriva un link con un servizio sugli ospedali della mia regione e, tra gli altri, c'è proprio quello della mia città. Non siamo messi male.
Siamo messi malissimo.
Mi prende uno sconforto terribile, mi viene letteralmente da piangere.
Non è solo per la paura de virus in sé (nella mia famiglia, oltre ad avere i bambini che ovviamente devono essere a prescindere quelli più al sicuro, una delle mie sorelle e mio padre sono soggetti a rischio), quanto per il dispiacere di vedersi combinati così...siamo in un paese civile eppure le strutture sono paragonabili a quelle del terzo mondo; non ci sono posti letto, i medici sono lasciati a loro stessi e se lo sono loro, lo saremo anche noi semmai dovessimo averne bisogno.

Lunedì: abbiamo resistito fino ad oggi, abbiamo pregato in tutti i modi che non succedesse ed invece stamattina, inevitabilmente, la notizia ufficiale. Il primo contagiato nella mia città.
Che il cielo ce la mandi buona...buonissima...


Spero la vostra settimana in casa sia all'altezza della mia, anche se so che è veramente difficile :-P

Una buona quarantena, a chi non è come neve...

domenica 8 marzo 2020

Quasi una negazione

Senza troppi giri di parole
Questa settimana è stata un vero disastro dal punto di vista della stanchezza.
Da mesi, forse, sono abituata ogni lunedì ad un risveglio traumatico; non quello per cui pospongo la sveglia all'infinito per riprendere altri 5 minuti di sonno ad oltranza. Al contrario.
Ogni lunedì il mio corpo si sveglia all'alba costringendo i miei occhi a fare lo stesso, nonostante il grosso macigno che sentono addosso e la mia mente che prega "mancano ancora ore prima del suono della sveglia, tutti i tuoi muscoli ti stanno suggerendo che hai bisogno di riposare ancora un po'!" ma non ce la faccio. Non riesco a riprendere sonno ed ogni martedì mi preparo a recuperare quello perso il giorno prima.
Ma questa settimana no, questa settimana ogni notte è stata un susseguirsi di ore di riposo perse che si accumulavano le une alle altre.
E, paradossalmente, più mi sentivo stanca, meno riuscivo a dormire.

S'è creato, quindi, questa sorta di paradosso per cui il tempo è volato con mille cose da fare ma, allo stesso modo, sembrava non arrivasse mai il momento di annullare finalmente quella dannata sveglia per rimanere ore ed ore ad oziare nel caldo delle mie copertine morbide.

Non mi sono mai concessa nemmeno un sonnellino riparatore nei (pochi) momenti liberi; al contrario, mi sono resa iperattiva e mi è salita addosso una voglia matta di leggere, divorando una pagina dietro l'altra.

Ho recuperato, innanzitutto, un libro che avevo lasciato a metà mesi prima.
Si tratta della versione in Francese de "Il Piccolo Principe", scelto per due motivi: da una parte perché erano passati decenni dall'ultima volta che lo avevo avuto per le mani (probabilmente dalle elementari) e, quindi, avevo praticamente rimosso tutti i dettagli della storia; dall'altra perché, nonostante la voglia di diventare più fluente in lingua, il Francese mi è un po' più ostico del mio amato Inglese e quindi ho pensato fosse un buon modo per riprendere a praticarlo. In realtà mi sbagliavo, perché si è dimostrato un po' più complesso del previsto e quindi la lettura mi aveva rallentata parecchio tanto da decidere di abbandonarlo dopo poco il suo inizio.
Ma, appunto, questa settimana l'ho ripreso in mano e, ringraziando me stessa per averlo fatto, l'ho concluso piuttosto soddisfatta ed in un solo pomeriggio.
Una piccola dimostrazione del fatto che, quando hai lo spirito giusto, 
non c'è nulla che tu non possa fare.

Concluso il piccolo racconto, ho deciso di recuperare un'altra questione che avevo lasciato un po' in sospeso.
Dovete sapere che la mia carriera di lettrice incallita è macchiata da un'onta forse imperdonabile: non mi piacciono i grandi classici. Nella lettura come, spesso, anche nel cinema.
Avete presente le liste che si trovano in giro coi "cento autori/libri assolutamente da leggere prima di morire"? Ebbene, praticamente io li ho snobbati praticamente tutti, se non con pochissime eccezioni.
Mesi fa, quindi, avevo deciso di scaricare sul mio e-reader un paio di letture su questo tema ma, ancora una volta, ostinandomi ad ignorarle tutte.
Finché un pomeriggio, per curiosità, ne apro uno a caso.
Tolstoj, "Anna Karenina", 1600 pagine circa (nella versione multimediale) ed un mio "non male come inizio, vediamo un po' dopo quante lo abbandonerò".
Ed invece, con sommo gaudio, mi sono trovata a divorarlo letteralmente, approfittando di ogni momento libero per sapere di questa storia che, tuttavia, già dai primi capitoli, avevo capito come sarebbe finita.
Un po' delusa dalla parte conclusiva, mi si è però riaccesa la speranza di poter anche io, a piccoli passi, correggere la -per me grave- mancanza portata avanti in questi anni.

Mi sono concessa un giorno di stacco e poi, ieri pomeriggio, ho deciso di concludere la mia settimana da topina di biblioteca con un romanzo leggero scaricato senza nemmeno verificarne la trama quando la mia biblioteca di libri ancora da leggere si stava pericolosamente per svuotare.
Quasi settecento pagine intrise di uno di quei racconti d'ammmmore a dir poco adolescenziale dove un adone multimiliardario si innamora di una nerd in crisi finanziaria e decide di fare di tutto per conquistarla ed aiutarla anche con il conto in banca.
Con buona pace di Lev Nikolàevic, comunque, eh.

Questo pomeriggio, invece, approfitterò della pioggia incessante per recuperare un po' la mia serie preferita.

E poi domani sarà una nuova settimana.
Ed una nuova occasione per perdere sonno e sostituirlo con un libro dietro l'altro.

Una buona giornata, a chi non è come neve...