Ho qualche riserva sul fatto che la vita non sia davvero un film.
Succedono tante cose degne di una sceneggiatura d'autore: incontri inaspettati, liti da set, drammi strappalacrime.
Ma non è questo che ora mi spinge a scrivere scomodamente da telefono e con gli occhi di chi stanotte non pensa dormirà.
Ho le gambe e le braccia scoperte, i brividi a fior di pelle per l'aria pregna di pioggia e tuoni lontani e stanchi ed i pensieri volti alla parte che ad ognuno di noi il fato ha destinato.
Che poi il fato in realtà non ha nulla a che vedere con quello che sto dicendo. Diciamo piuttosto che la nostra parte, nel cast, la scegliamo noi.
Ci sarà sicuramente qualcuno che tremerá dentro a sentirsi imprigionato dentro il personaggio di se stesso, perché in fondo tutti siamo la sfumatura di tutto, ma io a questa cosa posso crederci poco.
Dal mio canto è contrastante quello che rappresento tra tutti gli altri attori. Mi sembra un po' egocentrico parlarne, come se dovessi essere io la protagonista, ma stanotte ne ho voglia pur non sentendomici.
Sono sempre stata una persona fondamentalmente buona. Una di quelle bambine proprio carine, con le guance rosse ed i boccoli biondi. Timida, timidissima anzi, estremamente attaccata al mio focolare, tanto che mia madre non riuscì mai a farmi andare all'asilo ed anche il primo giorno di scuola (poi sono stata una studentessa modello, sappiatelo) fu una lotta tremenda (anche un po' imbarazzante a pensarci, eheh) rimanere da sola tra i banchi.
Con il passare degli anni sono cresciuta e, conservata invece la mia attitudine ad arrossire pesantemente, ho maturato una forte personalità. Più correttamente con tutte le mie forze ho preteso da me stessa una forte indipendenza mentale. E se da un lato il mio aspetto tutto meno che imponente mi dava credibilità, dall'altra la mia convinzione guadagnava terreno cm dopo cm.
Così, senza neppure accorgermene, un giorno mi sono trovata davanti allo specchio a fare i conti con un carattere che, paradossalmente, mi son sempre chiesta tacitamente da dove venisse fuori perché consapevole comunque della mia fragilità interiore.
Sono sempre stata una di quelle pronte a farsi in quattro per aiutare tutti. Su tutti i fronti. Compiti in classe passati senza mai voler nulla in cambio; appunti e spiegazioni pazienti, aiuti vari e consigli anche a costo di interrompere i miei impegni.
Ho sempre snobbato commenti cattivi e gratuiti verso qualsiasi altro essere umano, cercando sempre una buona parola, mettendomi al posto di chi l'avrebbe ricevuta.
Ma poi, mi sono scoperta anche essere la persona più cattiva che conosca.
Anno dopo anno ho imparato a dar man forte alla mia tempesta ed ho sviluppato quell'istinto di sopravvivenza per cui se non attacchi prima tu sei attaccato e bello che finito. Quindi mi è sempre bastato un solo accenno per scatenare un uragano che non sono mai stata in grado di commisurare.
Se dovessi rendere bene l'idea tramite una immagine userei quella di una lotta tra due animali. Vi suggerirei di pensare ad una tigre coi propri cuccioli, che all'improvviso vede qualcosa entrare nel proprio territorio ed allora non aspetta neppure un attimo, ma si scaglia contro il potenziale nemico e lo riduce a brandelli.
Ecco. Sia chiaro. Non sono elegante e forte come una tigre, non ho la sua regalità o il suo fascino, anzi. Ma cogliete la sua ferocia e la sua irrazionalità, perché è quello che sento di condividere con lei.
Così quando sento che il confine, il mio personalissimo confine, è stato oltrepassato mi si gela il sangue e divento cieca a qualsiasi altra cosa. Il mio interesse si concentra sulla voglia di distruggere tutto quello che mi sta ferendo. E poco mi importa se quello che faccio è contro qualcuno che mi ama, io riesco solo ad infierire, ad affondare il colpo ed a provocare perché più mi sento attaccata e più cresce la voglia di azzannare.
Ma l'ho detto, io con la nobiltà della tire non ho nulla a che vedere e quello che faccio non ha lo scopo di difendere nessun cucciolo; quello che mi spinge è sano egoismo, completa dedizione a me stessa. Perché, in fondo, non posso essere spinta da altro se non da quello, per arrivare ad avvelenare anche le persone che mi amano pur di difendere me stessa.
Come se tutto fosse una sfida, ho sempre assecondato il desiderio di essere la prima sul podio a qualsiasi costo e mi ci sono anche sempre sentita. Perché per avere una voglia così viscerale di annientare la minaccia serve anche un'altissima autostima, compagna di viaggio sempre fedele che non mi ha mai permesso di credere che il mio sfidante potesse anche solo eguagliarmi.
D'altronde una guerra non si inizia con la prospettiva di perdere.
Ed io per vincere ho saputo sempre usare anche armi spietate e sproporzionate, se non addirittura infide e sleali.
Ed allora in una situazione del genere, in un campo di battaglia come quello che ho costruito, quale svantaggio sarebbe più grande per me, se non quello di scoprire i miei punti deboli? Non ho mai permesso a nessuno di conoscere le mie parti più vulnerabili perché ho sempre pensato che io, per mia strategia, le avrei poi usate per colpire. Ho continuamente preferito mostrare rabbia ed urla, cattiveria e noncuranza, piuttosto che dolore e ferite perché l'idea di sapermi indietreggiata a fronte di un passo in avanti del nemico, mi avrebbe fatta impazzire.
Ed allora ho costruito ben, bene la mia parte e ho indossato con naturalezza il mio abito da scena ostentandolo come si fa col più prezioso dei gioielli.
Ma come spesso accade agli artisti più devoti, mi sono a volte ritrovata intrappolata in quella me che, in realtà, io non stavo impersonando.
Tutte le poche volte che non avevo bisogno di dar sfogo al mio ruggito ed azzannare, mi sono sentita respingere come per difesa, nonostante stessi in fondo e molto contraddittoriamente, cercando di dar spazio alla parte più delicata di me.
E se da una parte avrei dovuto semplicemente spiegare alla controparte tutto questo con calma e pazienza, dall'altra ho taciuto lasciando voce solo ad un pensiero; quello per cui, forse, ognuno è destinato a vivere con la parte che si è dipinto addosso e se ad un certo punto questa viene confusa con qualsiasi altra sfumatura che si cerca di tirar fuori, la colpa può essere solo di se stessi.
Se una tigre ti ha sempre e solo attaccato, alla centesima volta non aspetti più di sentire i denti infilzare la tua carne ma ti sposti sapientemente prima. E, molto più, non ti aspetti di vederle addosso una dolcezza che non le è mai appartenuta..
Peccato che, stavolta, non aveva nessuna intenzione di mordere. Ma questo lo si scopre dopo, forse. O quando non ha più importanza.
Stanotte io non mi sento l'attrice di me stessa. Ho fatto quello che sapevo avrebbe determinato la mia sconfitta e mi sono compiaciuta dell'idea che ho sempre ragione a fare come faccio. Perché se tanto il risultato è lo stesso, tanto vale venirne fuori da tigre, no?
Ed allora vi auguro buon film, che siate spettatori, protagonisti, antagonisti, registi, leoni, tigri, pulcini o semplici comparse
e una buona notte, a chi non è come neve...