Mi costa parecchio ammetterlo, davvero. Direi che quasi le mie dita si rifiutano di ticchettare sui tasti per comporre la frase seguente, ma non posso tirarmi indietro per ovvi motivi.
Io, della coppia, non sono la più alta.
E questo mi vale prese in giro non poco frequenti da parte della mia dolce metà, la quale si diverte anche con brillanti giochi di parole che spaziano dal suggerirmi medicine personalizzate (le nanadol) o definizioni per la mia risata (risata sata-nanica) al partorire creazioni inedite sulle note dell'inno giallo/rosso ("Paola, Paola mia, nun te fa 'ncantà tu sei nata nana e nana hai da restà!")
Dovrebbe, tutto ciò, indispettirmi ed aizzarmi alla vendetta più spietata (come effettivamente spessissimo avviene), ma quello che il rrromano non sa è che la rivincita più grande deriva proprio dal mio essere, a suo dire, bassa.
Tale consapevolezza non è un mero tentativo di addolcirmi la pillola, ma nasce in realtà moltissimi mesi fa, quando tra noi due si è radicata, consolidata, quella complicità che ti permette di abbracciare chi hai di fronte senza motivo, solo per il gusto di farlo, senza il timore del 'chissà se gli fa piacere?!"
Ed è proprio da un abbraccio che nasce il mio pensiero.
Che quando sei piccola come me, sentirsi stretta in una presa più avvolgente ha tutto un altro gusto. Come una coperta calda che è della giusta misura per te, per farti sentire al sicuro dalla testa ai piedi e non lascia scoperto neppure un lembo di pelle.
Che quando sei piccola come me, guardare da quella angolazione è speciale. Perché posso assolutamente osservare con attenzione quel verde che ho sempre amato da quando, qualche anno più immatura, sognavo il mio tipo ideale come l'essere adolescente richiede. E posso ogni volta rammaricarmi di non avere anche io quelle sfumature color giallo, quasi arancione, ad incorniciare tutta la pupilla così meravigliosamente.
Poco importa se alzare il collo per ricevere in cambio le sue labbra non è la posizione più comoda in assoluto, quando sei ricompensata dalle mani morbidissime intorno alle guance e dai pizzicotti sul mento dovuti al contatto con la barba che tanto mi piace e che sa di uomo, dell'uomo che è.
Che quando sei piccola come me, assaporare i baci che ricevi dall'alto è più speciale. Perché ho imparato a riconoscerne il profumo, oltre che il gusto. Il profumo del respiro che mi riempie i polmoni quando chiudo gli occhi e la testa si fa alla mia destra, per lasciarmi il suo nasino alla sinistra del mio. Perché si, come un pezzo di un puzzle che sa perfettamente quale sia il suo posto, anche i nostri visi si incastrano meravigliosamente in uno schema che si ripete continuamente ma che non ha niente di artificioso o innaturale.
Il respiro di cui conosco perfettamente il ritmo, da quello più dolce quando semplicemente ce ne stiamo l'uno accanto all'altra, a quello più serrato di quando ci corriamo incontro per guadagnarci anche l'ultimo secondo.
Che quando sei piccola come me, anche alzarsi in punta di piedi ti apre un sorriso più grande. Perché ti fa sentire meno sola arrampicarti con le mani alle sue spalle, alla sua schiena, nel sottopassaggio dipinto di bianco di una stazione in cui le voci rimbombano ingrandendo un "ti amo" sussurrato il più delicatamente possibile. Che le mie braccia si riempiono sempre così bene del suo torace, mentre le sue hanno ancora spazio per aderire alla mia bassa schiena e fermarsi alla parte opposta del fianco.
E ti fa sentire quasi più grande che per un attimo il tuo petto sia quasi perfettamente contro il suo, per poi tornare a sentirti sovrastata dal suo mento contro la tua fronte.
Che quando sei come me hai bisogno di qualcuno di grande come lui, che ti faccia sentire piccola al punto giusto per essere stretta nel palmo di una mano, al sicuro, ma contemporaneamente un gigante da far invidia al monte più impetuoso.
Che quando sei come me semplicemente ringrazi di aver trovato qualcuno di grande come lui, che ti faccia sentire l'immensità che hai attorno anche se le ansie stupide di progetti più o meno incompiuti ti opprimono costantemente.
Che quando sei come me capisci ad ogni carezza di essere capitata nel posto giusto, al momento giusto per trovare finalmente colui il quale ti faccia sentire la...nana giusta.
Buona notte, amore mio.
Buona notte, a chi non è come neve...
giovedì 29 ottobre 2015
giovedì 15 ottobre 2015
Nei dettagli, nei disordini, tu no.
Sarà il tempo (quasi libero) che ho, sarà semplicemente il senso di colpa per aver molto rallentato nel blog negli ultimi tempi, ma in questi giorni ho una voglia di scrivere incredibile.
Che appena ho pubblicato l'ultimo post ne ho pensati altri mille e ne avevo uno in bozza quasi pronto, aspettavo il momento di pubblicarlo, ma sembra che ogni giorno ci sia qualcosa che plachi il mio entusiasmo. Perché a me in realtà le cose programmate non piacciono e così, se già mentalmente ho un intero post in testa che però non rispecchia il mio umore attuale, lascio cadere tutto e preferisco il silenzio piuttosto che sporcare la mia rabbia, la mia felicità e quant'altro con parole che poco si abbinano a loro.
Comincio a pensare che qualcuno trami alle mie spalle, altrimenti non si spiega perché debba piovere (talvolta diluviare) proprio quando devo uscire io di casa.
Forse, probabilmente, è solo questione di statistica.
Ho passato dei giorni intensissimi, coi miei nipotini. Di nuovo mio cognato fuori per lavoro e di nuovo una mini villeggiatura a casa loro per non lasciare mia sorella completamente da sola.
Che Scarabocchio mi faceva una tenerezza pazzesca, prima perché pensava che io e l'altra mia sorella (tenete il conto, su) non saremmo andate a dormire da loro e buttava lì un "chi vuole venire a dormire a casa mia?" e poi perché "zia, guarda che se vuoi dormire nel mio letto non c'è problema, io dormo per terra o sulla sedia che sto anche più comodo", solo per stare nella stanza insieme a noi.
Ma non lasciatevi intenerire, perché sono stati monelli dietro al viso d'angelo, e praticamente i momenti di quiete sono stati apprezzati da noi come l'oro.
E d'oro dovrebbe essere anche la medaglia da regalare alla loro mamma che riesce a trovare il tempo per fare tutto quello che fa, con quei diavoletti urlanti per casa.
Non parliamo, poi, di Pastrocchio e di Lulla. Il primo è un piccolo matto gelosissimo della seconda, la quale, a sua volta, è diventata una testona. Se non si fa quello che dice comincia a sbraitare ed alla fine, vuoi o non vuoi, non resisti a quelle lacrime (o a quelle urla, meglio) e la accontenti.
Poi ha cominciato con le prime parole, che sono poche però si fa capire bene e fa tanto ridere quando imita gli animali, fa i versi del mostro o quando muove quelle manine cucciole per indicarti o chiamarti vicino a lei.
La cosa che più amo dei bambini è quando ti stringono la mano.
Quando con quel gesto in fondo ti dicono 'Mi fido di te, tienimi tu ed io posso tutto'. Ci penso spesso quando lo fanno spontaneamente, quando lo fanno quasi automaticamente. Mi chiedo se in effetti ci si renda davvero conto di cosa significhi un qualcosa di così naturale.
Una stretta di mano non è mai una: c'è quella appena conosci qualcuno, che il più delle volte è solo una formalità; c'è quella data per promessa, per accordo, che in fondo è puramente dovuta per rito, che se vuoi fregare qualcuno, lo freghi e basta; c'è quella tra fidanzatini, dolce e tenera anche quella, da molti sottovalutata perché non amano il contatto costante, ma che io amo perché è un dirsi ti sono ancora accanto e ci voglio stare anche così.
Ma quella di un bambino, no, quella va oltre.
Ho due settimane di tempo per accontentare i tre mostriciattoli (in realtà, logisticamente, i due più grandi ma chi sono io per escludere la marmocchia?) ed organizzare insieme alle mie sorelle anche quest'anno la festa di Halloween.
Se il premio saranno le risate che ancora si fanno ripensando allo scorso 31 Ottobre, non possiamo che metterci sotto e magari cercare di iniziare leggermente prima i preparativi.
Si eccettuano eventuali consigli per il trucco, magari un personaggio psicopatico così posso immedesimarmi anche oltre il viso, eheh.
Direi che il mio post non programmato l'ho buttato giù in fretta e non posso che essere contenta del filo non logico che ho seguito.
Una buona giornata, a chi non è come neve...
Che appena ho pubblicato l'ultimo post ne ho pensati altri mille e ne avevo uno in bozza quasi pronto, aspettavo il momento di pubblicarlo, ma sembra che ogni giorno ci sia qualcosa che plachi il mio entusiasmo. Perché a me in realtà le cose programmate non piacciono e così, se già mentalmente ho un intero post in testa che però non rispecchia il mio umore attuale, lascio cadere tutto e preferisco il silenzio piuttosto che sporcare la mia rabbia, la mia felicità e quant'altro con parole che poco si abbinano a loro.
Comincio a pensare che qualcuno trami alle mie spalle, altrimenti non si spiega perché debba piovere (talvolta diluviare) proprio quando devo uscire io di casa.
Forse, probabilmente, è solo questione di statistica.
Ho passato dei giorni intensissimi, coi miei nipotini. Di nuovo mio cognato fuori per lavoro e di nuovo una mini villeggiatura a casa loro per non lasciare mia sorella completamente da sola.
Che Scarabocchio mi faceva una tenerezza pazzesca, prima perché pensava che io e l'altra mia sorella (tenete il conto, su) non saremmo andate a dormire da loro e buttava lì un "chi vuole venire a dormire a casa mia?" e poi perché "zia, guarda che se vuoi dormire nel mio letto non c'è problema, io dormo per terra o sulla sedia che sto anche più comodo", solo per stare nella stanza insieme a noi.
Ma non lasciatevi intenerire, perché sono stati monelli dietro al viso d'angelo, e praticamente i momenti di quiete sono stati apprezzati da noi come l'oro.
E d'oro dovrebbe essere anche la medaglia da regalare alla loro mamma che riesce a trovare il tempo per fare tutto quello che fa, con quei diavoletti urlanti per casa.
Non parliamo, poi, di Pastrocchio e di Lulla. Il primo è un piccolo matto gelosissimo della seconda, la quale, a sua volta, è diventata una testona. Se non si fa quello che dice comincia a sbraitare ed alla fine, vuoi o non vuoi, non resisti a quelle lacrime (o a quelle urla, meglio) e la accontenti.
Poi ha cominciato con le prime parole, che sono poche però si fa capire bene e fa tanto ridere quando imita gli animali, fa i versi del mostro o quando muove quelle manine cucciole per indicarti o chiamarti vicino a lei.
La cosa che più amo dei bambini è quando ti stringono la mano.
Quando con quel gesto in fondo ti dicono 'Mi fido di te, tienimi tu ed io posso tutto'. Ci penso spesso quando lo fanno spontaneamente, quando lo fanno quasi automaticamente. Mi chiedo se in effetti ci si renda davvero conto di cosa significhi un qualcosa di così naturale.
Una stretta di mano non è mai una: c'è quella appena conosci qualcuno, che il più delle volte è solo una formalità; c'è quella data per promessa, per accordo, che in fondo è puramente dovuta per rito, che se vuoi fregare qualcuno, lo freghi e basta; c'è quella tra fidanzatini, dolce e tenera anche quella, da molti sottovalutata perché non amano il contatto costante, ma che io amo perché è un dirsi ti sono ancora accanto e ci voglio stare anche così.
Ma quella di un bambino, no, quella va oltre.
Ho due settimane di tempo per accontentare i tre mostriciattoli (in realtà, logisticamente, i due più grandi ma chi sono io per escludere la marmocchia?) ed organizzare insieme alle mie sorelle anche quest'anno la festa di Halloween.
Se il premio saranno le risate che ancora si fanno ripensando allo scorso 31 Ottobre, non possiamo che metterci sotto e magari cercare di iniziare leggermente prima i preparativi.
Si eccettuano eventuali consigli per il trucco, magari un personaggio psicopatico così posso immedesimarmi anche oltre il viso, eheh.
Direi che il mio post non programmato l'ho buttato giù in fretta e non posso che essere contenta del filo non logico che ho seguito.
...Non so come fartelo capire, ma qui si vive al riparo. E non è una cosa spregevole. E' bello.
..E poi chi l'ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto,
sempre sporti sul cornicione delle cose..
A. Baricco.
Una buona giornata, a chi non è come neve...
martedì 6 ottobre 2015
..Che non fu addio..
Il mio momento di gioia è finito in fretta: qualche ora per l'esattezza, il tempo di rendermi conto che forse non era sufficiente vedersi il libretto completo di tutti gli esami in carriera.
E' iniziato il conto alla rovescia, fiato sul collo, per arrivare neppure io so dove.
E se all'inizio la cosa mi portava il cuore in gola all'idea di essere ad un passo e forse non farcela comunque, soprattutto non per colpa mia (non direttamente o unicamente, almeno), adesso la cosa mi è indifferente.
Che a volte ci speri così tanto, che veder anche la minima possibilità di fallimento prenderti crudelmente in giro ti porta al va beh, sai che c'è, io il mio l'ho fatto, più di così non posso.
Molto più oggi, in cui a tutto penso meno al fatto che domani mi tocca correre all'Università per la tesi e Giovedì a consegnare dei documenti che forse neppure saranno pronti prima che io salga sul pullman.
E mentre io mi affretto e trovo anche il tempo per la medaglia d'oro come persona più cattiva dell'anno (che fa molto metafora, ma non lasciatevi ingannare dal limite temporale o mi offendo), qualcosa invece si è fermato sei anni fa, in una sera che ormai ripercorro ogni anno (questo leggermente in ritardo, ma non è una data a fare la differenza, non quando comunque il risultato è sempre lo stesso: loro non ci sono più).
E' sempre lui, il ragazzo dagli occhi verdi che a scuola chiedeva alla prof quando avrebbe dovuto ridere se non allora, che non era neppure maggiorenne e non lo è mai diventato.
E' strano, ogni anno inserisco il link del loro post precedente, come una catena di riletture per far capire, a chi si prende la briga di tornare indietro, come tutto è iniziato.
O meglio, come tutto è finito.
E per rileggere io, per cercare di ricordare qualche dettaglio che l'anno prima mi è sfuggito di loro, di lui.
E quest'anno non è diverso, sono tornata qui ma mi fa un effetto nuovo; come se avessi scordato quello che avevo scritto e stessi scoprendo per la prima volta quanto possa toccarti nel profondo una perdita che in confronto a quella subita da chi con lui viveva ogni ora del giorno, non è davvero niente.
Che di incidenti così ce ne sono stati ancora, già solo in questi ultimi mesi; come quello che mi ha fatto gelare il sangue questo inverno, annunciato al telegiornale mentre io ero sul letto della casa all'Università: non c'erano visi, non ci sono stati nomi per diverse ore, tanto è stato difficile il recupero dei resti delle vittime. C'era solo il nome della costa, di due città, quella prima e quella dopo la mia, ed il numero dei corpi scaraventati sull'asfalto.
E lo scoppio furioso del mio pianto isterico chiamando la mia amica "E se è qualcuno che conosciamo?!"
Che in quel momento ho provato una paura indescrivibile anche solo all'ipotesi di non poter rivedere questo o quel viso, di poter perdere ancora qualcun altro, stavolta magari ancora più vicino a me.
Ed il sospiro a scacciare gli occhi rossi quando all'appello non mancava nessuno ed il pensiero egoista del mio Dio, meno male dimenticando solo per un attimo che quel meno male altre famiglie, altri amici, altri fidanzati, semplicemente altri, non lo hanno esclamato.
Quello è il terrore che mi ha aperto il cuore e che lo ha spaccato a chi non ha mai più ricevuto risposta ad un telefono squillante invano.
Quello è il terrore che credo non si possa affievolire neppure dopo sei anni da una sera che, pur sbarrata sul calendario, è destinata a rimanere dov'è.
Com'è.
E' iniziato il conto alla rovescia, fiato sul collo, per arrivare neppure io so dove.
E se all'inizio la cosa mi portava il cuore in gola all'idea di essere ad un passo e forse non farcela comunque, soprattutto non per colpa mia (non direttamente o unicamente, almeno), adesso la cosa mi è indifferente.
Che a volte ci speri così tanto, che veder anche la minima possibilità di fallimento prenderti crudelmente in giro ti porta al va beh, sai che c'è, io il mio l'ho fatto, più di così non posso.
Molto più oggi, in cui a tutto penso meno al fatto che domani mi tocca correre all'Università per la tesi e Giovedì a consegnare dei documenti che forse neppure saranno pronti prima che io salga sul pullman.
E mentre io mi affretto e trovo anche il tempo per la medaglia d'oro come persona più cattiva dell'anno (che fa molto metafora, ma non lasciatevi ingannare dal limite temporale o mi offendo), qualcosa invece si è fermato sei anni fa, in una sera che ormai ripercorro ogni anno (questo leggermente in ritardo, ma non è una data a fare la differenza, non quando comunque il risultato è sempre lo stesso: loro non ci sono più).
E' sempre lui, il ragazzo dagli occhi verdi che a scuola chiedeva alla prof quando avrebbe dovuto ridere se non allora, che non era neppure maggiorenne e non lo è mai diventato.
E' strano, ogni anno inserisco il link del loro post precedente, come una catena di riletture per far capire, a chi si prende la briga di tornare indietro, come tutto è iniziato.
O meglio, come tutto è finito.
E per rileggere io, per cercare di ricordare qualche dettaglio che l'anno prima mi è sfuggito di loro, di lui.
E quest'anno non è diverso, sono tornata qui ma mi fa un effetto nuovo; come se avessi scordato quello che avevo scritto e stessi scoprendo per la prima volta quanto possa toccarti nel profondo una perdita che in confronto a quella subita da chi con lui viveva ogni ora del giorno, non è davvero niente.
Che di incidenti così ce ne sono stati ancora, già solo in questi ultimi mesi; come quello che mi ha fatto gelare il sangue questo inverno, annunciato al telegiornale mentre io ero sul letto della casa all'Università: non c'erano visi, non ci sono stati nomi per diverse ore, tanto è stato difficile il recupero dei resti delle vittime. C'era solo il nome della costa, di due città, quella prima e quella dopo la mia, ed il numero dei corpi scaraventati sull'asfalto.
E lo scoppio furioso del mio pianto isterico chiamando la mia amica "E se è qualcuno che conosciamo?!"
Che in quel momento ho provato una paura indescrivibile anche solo all'ipotesi di non poter rivedere questo o quel viso, di poter perdere ancora qualcun altro, stavolta magari ancora più vicino a me.
Ed il sospiro a scacciare gli occhi rossi quando all'appello non mancava nessuno ed il pensiero egoista del mio Dio, meno male dimenticando solo per un attimo che quel meno male altre famiglie, altri amici, altri fidanzati, semplicemente altri, non lo hanno esclamato.
Quello è il terrore che mi ha aperto il cuore e che lo ha spaccato a chi non ha mai più ricevuto risposta ad un telefono squillante invano.
Quello è il terrore che credo non si possa affievolire neppure dopo sei anni da una sera che, pur sbarrata sul calendario, è destinata a rimanere dov'è.
Com'è.
...Trattengo il tempo per tenerti qui
E tremo dentro e ormai pochi minuti
E poi davvero dovrò dirti addio, angelo mio...
Buon pomeriggio, a chi non è come neve...
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