venerdì 11 ottobre 2024

Al buio come il Braille

Al mattino presto, tanto presto, il tempo è una lingua che si allunga, si arrotola e si srotola dilatandosi con una discontinuità che è solo apparente. Un serpente dalle spire viscide eppure irresistibili.
Ma al mattino presto le attese si confondono lo stesso con le attese di sempre.
Le riconosci subito, le persone che aspettano.
Un pullman, con le braccia incrociate e gli zaini poggiati agli stinchi.
Un piatto al ristorante, con il tovagliolo leggermente spostato a far spazio e le braccia poggiate ad angolo.
Un amico, con il telefono in mano e le risate in viso.
Un amore, con lo sguardo serio all'orizzonte ed un lampo negli occhi che dura il tempo di dirsi "eccoti".
Un esame all'università, con il nodo in gola e lo stomaco che si rimescola come l'acqua immobile quando ci immergi un pennello zeppo di colore da ripulire.

Ultimamente il mio gioco preferito è diventato provare a riconoscere le nuvole. Affacciata alla finestra del mio ufficio, in una delle micropause del pomeriggio, recrudescenze delle lezioni a scuola fanno riemergere nomi su nomi ma quello che per primo fa capolino è quello che, paradossalmente, da piccola, sembrava il più difficile da memorizzare.
È un gioco che sembra facile (guarda la foto ed associala a ciò che c'è in cielo; il più elementare dei rompicapi) ma nasconde insidie inaspettate.
Più cerchi dei dettagli che le renda riconoscibili, più si somigliano un po' tutte.

Va sempre un po' così: è nelle piccole cose che ci si perde.

Eppure, continuare a cercarle ed a provare, esorcizza la paura di quel serpente sibillante.
La esorcizza anche poter almeno guardare l'alba sul mare dal finestrino dell'auto.
E la esorcizza essere tornata a scrivere ed avere una spalla su cui nascondere le guance rigate di acqua e sale.

È stata una settimana durissima per mille motivi e faticosi saranno i giorni che stanno per iniziare, ma lo sconforto ha ceduto il passo al ricordo della notte che mi cullerà.
Profumo di lenzuola pulite, cuscini morbidi, un petto al quale accucciarsi ed un braccio stretto attorno alla vita.
Perché, certe attese, in due, sanno di speranza e fiducia.

Tutto il resto, stelle cadenti.

A chi non è come neve...

1 commento:

  1. il serpente ricorre due volte in questo flusso di parole che ondeggiano tra il dentro e il fuori, tra ciò che vedi e ciò che senti, tra il personale e il generale (bello il passaggio sulle attese, con le braccia incrociate e gli zaini poggiati agli stinchi).
    Il serpente, dicevo, credo simboleggi l'inquietudine che serpeggia in ognuno di noi e che solo le parole messe nere su bianco riescono ad ammansire fino a farlo diventare, per qualche istante almeno, acciambellato quieto come il gatto di casa.
    massimolegnani
    (orearovescio.wp)

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Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere.