Che partono da un niente, un granello, e poi però d'improvviso quel granello è già diventato una montagna pronta a travolgerti a sorpresa?
La mia valanga sono i ricordi ed il granello che ha fatto partire tutto è un biglietto.
Io ce l'ho questa mania di fissarmi sulle cose; di avere un flash riguardante un oggetto qualsiasi e poi di avere la necessità impellente di andare a cercarlo per assicurarmi che sia esattamente lì dove dovrebbe.
Il mio granello.
È così che è partita la valanga di ricordi.
In mezzo a tutte le mie agendine, i post it, i quaderni, a colpirmi non è leggere pagine introspettive, racconti di giornate, recrudescenze di grandi amori vissuti e poi perduti. No.
Sono bigliettini insignificanti che ho conservato chissà perché, con la mia grafia rigorosamente a penna nera, soprattutto degli anni all'università.
Liste della spesa, check-list delle cose da portar con me prima di ripartire in pullman, orari delle navette, monitoraggi del mio budget, liste di regali, liste di persone da invitare, calcoli della media dei voti, scontrini scoloriti...
Dettagli minuscoli di una giornata qualsiasi, di un anno qualsiasi, scritti ad un'ora qualsiasi e poi mescolati tra di loro alla rinfusa come le gocce di cioccolato dentro l'impasto dei biscotti.
E non so perché, non so cos'è che mi colpisce tanto, ma ad un certo punto tra tutto quel nulla mi si riempie il cuore; mi si riempire il cuore d'amore per quella ragazzina che faceva quella "p" corsiva tutta particolare e che a vent'anni sentiva già l'affanno di dover essere donna, di dover avere già tutto chiaro, senza paure, senza tentennamenti.
Ed adesso che di anni ne son passati più di dieci mi rendo conto che solo ora me ne rendo conto: che era da folli sentirsi in quel modo a quell'età, avere così tanta paura di aver paura in un momento in cui dovevi avere paura. Era tuo diritto.
Era tuo diritto e dovere sentirti spaesata, sentirti piccola ed avere mille domande senza risposta. Era tuo diritto sbagliare strada, arrivare in ritardo (sull'orologio di chi, poi?), arrossire a sorpresa, avere bisogno di mamma.
È possibile che sia dovuta arrivare a quasi trentadue anni per capirlo? Che abbia dovuto mostrarmelo un foglietto strappato da chissà quale quaderno con scritta semplicemente una lista di orari "da casa - da università"?
Le mie epifanie son sempre così: un fuoco d'artificio che ti prende di sorpresa anche se sei alla vigilia di capodanno ed è mezzanotte spaccata.
Un po' come quella frase di mamma ormai un mese e mezzo fa, buttata lì con semplicità mentre mi aiutava a raccogliere un pezzo del mio cuore frantumato a terra; non c'entrava nulla con quello che mi ha scatenato poi, ma mi ha aperto comunque gli occhi su uno scenario semplicissimo e che però non riuscivo a vedere.
Ché la vita va guardata sempre così, all'indietro ma puntando sempre avanti.
Con le gambe che tremano di chi ha di fronte l'oceano e poi però chiude gli occhi, prende un bel respiro e si tuffa con il cuore a mille ed il sorriso baciato dal sole.
Buon tuffo, a chi non è come neve...
Se si sapesse già da giovani...
RispondiEliminaMa no. Ma no. Si è giovani ed è proprio così che si deve essere. non ci devi essere posto per la saggezza, per aver già chiaro che non sarà chiaro, che le cadute sono parti integranti dei voli. Si è giovani ed è giusto diversi gli errori della gioventù senza saperlo, come più avanti sarà giusto diversi gli errori del più avanti o di quel che è. Perché se c'è una cosa che ho capito è che il trait d'union della vita, sono proprio gli errori...
O sbaglio?
Un salutone